Tra tutte le recensioni scritte nel corso dell'alternanza scuola-lavoro al liceo classico Galileo Galilei di Firenze, i critici Claudio Carabba, Gabriele Rizza, insieme a Edoardo Becattini, hanno selezionato quella di Luana Di Dio, relativa al film di Alfred Hitchcock del 1958, Vertigo (in Italia uscito con il titolo La donna che visse due volte), alla quale andato il principale riconoscimento: una tessera “gold” che le consentirà di vedere i film che più preferisce, tra quelli in programma al cinema La Compagnia nel 2018. Inoltre Luana avrà la possibilità di recensire uno di questi film e vedere la propria recensione pubblicata sulla brochure mensile del cinema La Compagnia.
Una segnalazione è andata anche a Martina Buscema, che ha recensito Il diritto di contare, di Theodore Melfi e a Chiara Prevedello, per la sua recensione de La battaglia di Hacksaw Ridge, di Mel Gibson.
"In generale - ha detto ai ragazzi Cluadio Carabba - abbiamo molto apprezzato l'impegno di tutti gli studenti sotto la guida del docente Edoardo Becattini, molto attento e preciso nella correzione e disamina dei contributi critici. Dovendo selezionare tre recensioni, alle quali dare un riconoscimento, abbiamo scelto quelle che ci sembravano più incisive e formalmente corrette".
La recensione di Vertigo
“Nel 2012, secondo il sondaggio di Sight and Sound, Vertigo di Hitchcock, tratto dal romanzo D’entre les morts di Boileau e Narcejac, è stato scelto come migliore film di sempre, e ha preso così il posto di Quarto potere di Welles, che deteneva il primato dal 1962. Se ci sono voluti ben 50 anni per riuscire ad apprezzare questo film così complesso e comprenderne a fondo tutti i piani di lettura, credo che a me ce ne vorranno almeno altrettanti, e certo non vi auguro la stessa sorte, perché finora Vertigo non mi ha trasmesso nient’altro che spaesamento, dubbio, inquietudine, sgomento e un profondo senso di delusione.
Fin dalle prime immagini lo spettatore viene trasportato fuori dagli schemi ordinari e, catapultato in un vero e proprio labirinto di ombre e ambienti evanescenti, si trova come immerso in un terribile incubo. Nei titoli di coda, infatti, una spirale multicolore che entra ed esce da un occhio inquadrato in primissimo piano trasmette, oltre a un profondo smarrimento, anche un fastidioso senso di vertigini, che percorre l’intero film.
Il protagonista, il poliziotto John Ferguson, detto Scottie (James Stewart), decide di dimettersi dal suo mestiere, dopo essersi reso conto di soffrire terribilmente di vertigini. Cosa piuttosto normale, dato che si trovava sui tetti di San Francisco, alle prese con l’inseguimento di un ladro, aggrappato a una grondaia sospesa nel vuoto! Un suo ex compagno di scuola, diventato imprenditore nel campo dei cantieri navali, gli chiede di sorvegliare sua moglie Madeleine (Kim Novak), che ormai da un po’ di tempo “non è più lei” e sembra che sia come posseduta dallo spirito della bisnonna materna Carlotta Valdés, morta suicida all’età di 26 anni, la stessa di sua moglie.
Affascinato dalla bellezza di Madeleine (la cui presenza angelica è sfuggente, spesso inquadrata di spalle o di profilo e mai definita completamente) Scottie accetta l’incarico e comincia a seguirla. Dopo aver comprato un mazzo di fiori, la donna si reca nel cimitero in cui si trova la tomba di Carlotta, poi in un museo, dove sosta a lungo davanti al dipinto della sua antenata, a cui somiglia non poco, e infine nell’antica dimora di famiglia trasformata in albergo, da cui scompare misteriosamente. Il giorno seguente, invece, mentre passeggia sulle sponde del Golden Gate, d’un tratto si getta in acqua, in preda a un istinto suicida. Ma Scottie, tuffatosi prontamente, la salva per poi portarla a casa sua, nell’attesa che si riprenda, ma al suo risveglio Madeleine non ricorda assolutamente che cosa sia successo. Da questo momento ha inizio la storia d’amore tra i due protagonisti. Nel parco delle sequoie, che sembra un giardino incantato immerso nella nebbia, Madeleine racconta a Scottie i suoi incubi e lui, deciso ad aiutarla, la porta in un’ex missione spagnola, che corrisponde al paesaggio di un suo sogno. Ma qui la donna si precipita su per le scale del campanile della chiesa, inseguita da Scottie, che dopo aver invano cercato di trattenerla, è costretto a fermarsi per le sue vertigini e assiste impotente alla caduta del corpo di lei.
Tormentato dal senso di colpa, ora è Scottie a vivere in un incubo: in una scena di forte impatto emotivo, grazie anche alla musica incalzante, si alternano l’immagine del viso stravolto del protagonista in primo piano con gli occhi spalancati, che passa dal verde, al rosso, al blu, e immagini già viste, il gioiello di Carlotta nel dipinto, il pallore del volto, il suo sguardo ambiguo e inquietante, la tomba vuota, la caduta inesorabile della donna che amava… Uscito da una clinica psichiatrica, in cui era rimasto nel tentativo di guarire dalla depressione che lo ha abbattuto, Scottie incontra una commessa, Judy, che assomiglia moltissimo alla sua Madeleine. Comincia dunque a corteggiarla insistentemente e, quando Judy impietosita cede, egli la costringe a vestirsi e a pettinarsi come Madeleine nel tentativo di far rivivere la donna amata. La ragazza, che dopo aver finito di prepararsi, esce dal bagno della sua camera avvolta nella nebbia e illuminata da un’innaturale luce verde, ha un aspetto spettrale e sembra davvero il fantasma di Madeleine che ritorna in vita. Ma, mentre i due si stringono in un appassionato abbraccio, la macchina da presa gira intorno a loro come per avvolgerli in un vortice. La stessa spirale, dunque, che ricorre più volte durante il film, nello chignon di Carlotta e di Madeleine, nei cerchi concentrici nel tronco della sequoia, nella scala a chiocciola del campanile, negli incubi di Scottie, ritorna in questa scena, come presagio della fine drammatica del film e, al contempo, dell’amore dei due personaggi, subito dopo lo scioglimento definitivo della vicenda.
La colonna sonora efficace ed enfatica di Bernard Herrmann accompagna e sostiene perfettamente lo svolgimento dell’azione, mantenendo sempre viva e costante l’attenzione. Fotografia, luci e colori contribuiscono a sottolineare il mistero e ad accrescere l’inquietudine, in particolare con accostamenti cromatici talvolta piuttosto fastidiosi per la vista (ad esempio verde, il colore dominante, rosso e blu, che menzionavo già in precedenza). È frequente la presenza di specchi (nel ristorante, nel negozio di fiori, in quello di vestiti e nella stanza di Judy) che, insieme alle ombre, creano un gioco continuo di rimandi e suggeriscono l’idea della doppiezza. Merita senz’altro di essere menzionata anche l’inquadratura che, a mio avviso, meglio rappresenta il film: il “dollyzoom” (sincronia dello zoom all’indietro e della carrellata in avanti) sull’immagine delle tetre scale del campanile viste dall’alto, inquadratura che maggiormente dà il senso delle vertigini e simboleggia la discesa verso il nero e il nulla.
Come afferma Victor Stoichita a proposito di La donna che visse due volte, facendo riferimento all’interpretazione di questo film come metafora stessa del cinema: “In Vertigo, proprio come nella fotografia e nel film, il negativo è l’originale, e il positivo è la contraffazione”. In Vertigo tutto è falso e fuorviante persino il titolo: infatti in realtà non c’è nessuna “donna che visse due volte”. Di Carlotta/Madeleine/Judy noi sappiamo soltanto che è innamorata di Scottie. Mentre Scottie di chi è innamorato? Di un’idea e nient’altro, di un personaggio immaginario, di un fantasma. Per tutta la durata del film lo spettatore vede crollare progressivamente tutte le sue certezze e materializzarsi sempre più le potenze inquietanti dell’inconscio. L’aver messo in scena in modo così realistico ed efficace l’apparenza e l’ossessione è senz’altro un grande merito del maestro del brivido. Il forte senso di delusione deriva dalla consapevolezza che alla fine tutto si risolve nel nulla o meglio nel dolore e nella morte. Ma forse è proprio questo il senso di Vertigo: il regista ha voluto soltanto rappresentare la vertigine alienante della spirale che, dopo aver compiuto innumerevoli giri, si conclude con il nulla, esattamente come negli incubi di Madeleine. Dunque, come osserva Fabio Carlini: “Nel cinema di Hitchcock solo lo sgomento si dà come acquisizione definitiva”, e questo è piuttosto deludente”.
Luana Di Dio
Classe VD, Liceo Classico Galileo Galilei di Firenze