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Università di Pisa: psicopatologia del terrorismo, alla base la sociopatia

Lo sostiene la psichiatra e professoressa dell'Ateneo Donatella Marazziti in un articolo pubblicato sulla rivista americana CNS Spectrums

/ Redazione
Mer 30 Marzo, 2016
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In questo periodo in cui la paura e la minaccia del terrorismo colpiscono duramente l’Europa e il resto del mondo si impongono anche le prime riflessioni che provino a inquadrare e spiegare il problema da un punto di vista psicologico e sociale (spunti utili anche, in futuro, per cercare di comprendere e prevenire il verificarsi di determinate condizioni). E una riflessione sui meccanismi psicologici e psicopatologici del terrorismo è proprio quella che arriva dall’Università di Pisa, e in particolare dalla psichiatra Donatella Marazzitti, che nell’articolo ”Psychiatry and terrorism: exploring the unacceptable” – appena pubblicato sulla rivista americana CNS Spectrums della Cambridge Press – sostiene che: “Sebbene la spiegazione del terrorismo da un punto di vista psicopatologico potrebbe non essere esaustiva, non si può scartare a priori un modello teorico di partenza basato essenzialmente sulla sociopatia”.

In psichiatria si definiscono sociopatici quegli individui che mancano di empatia, pietà, senso di colpa per le loro azioni, e manifestano una freddezza estrema e un’aggressività ferina. L’empatia, insieme alla teoria della mente, che è la capacità di percepire i pensieri, le emozioni e i sentimenti altrui, fa parte delle cosiddette “emozioni morali o socio-morali”, collegate più al bene comune che a quello del singolo individuo.

“I terroristi, così come gli individui sociopatici – sottolinea Donatella Marazziti – sembrano del tutto privi di queste emozioni sociali, basta guardarli mentre eseguono le esecuzioni brutali con freddezza e autocelebrazione amplificata dall’uso sapiente delle nuove tecnologie”.

Occorre, dunque, secondo l’autrice, avere il coraggio di cominciare a esplorare i processi mentali del terrorista, spesso complicati dall’uso delle droghe, e i meccanismi neurali alla base degli stessi. E questo malgrado le difficoltà reali nell’affrontare un fenomeno così complesso, visto anche l’esiguità dei terroristi che si pentono all’ultimo momento che possono essere visitati. I dati psicopatologici disponibili a tutt’oggi riguardano infatti perlopiù terroristi palestinesi, ma come evidenzia l’intervento della psichiatra pisana, in questo caso il fenomeno è del tutto particolare, generato in un contesto specifico, e non può essere generalizzato a quello che ha portato agli attacchi sferrati negli ultimi mesi nei paesi europei.

C’è da sottolineare infine una sorta di riluttanza e disgusto a esplorare questi comportamenti abnormi da parte di psichiatri, psicologi e neuroscienziati – ha concluso Marazziti – sebbene tentare di capire un comportamento che è umanamente inaccettabile appare fondamentale anche per prevenire il possibile ‘contagio’, o per intervenire nel caso di individui a rischio”.