A poco meno di due anni da Muro di Casse è in uscita per la collana Solaris di Laterza il nuovo romanzo ibrido di Vanni Santoni. La stanza profonda, questo il titolo del nuovo lavoro dello scrittore di Montevarchi, affronta stavolta un altro tema underground ma fondativo nella definizione prospettica della contemporaneità: i giochi di ruolo – mentre nel caso di Muro di casse, vero gemello del testo in uscita entro fine marzo, a essere indagate erano le “feste”, vale a dire i rave di musica elettronica. La sfida del nuovo testo – che come il primo si gioca sul sottile equilibrio sospeso tra narrazione, inchiesta documentale e vero e proprio saggio – è ancora più ardua, quella dei raver è un’epica, i ragazzi si impossessano di luoghi abbandonati (ma comunque preclusi) e vi portano musica, veri e propri muri di casse (interessantissima la galleria di foto che Santoni continua a postare da ormai quasi due anni sulla pagina Facebook dedicata al libro, a testimonianza dell’impressionante catalogo di cattedrali dell’amplificazione abusivamente messe su lungo il corso di vent’anni in tutta Europa) e sostanze, per vivere un’esperienza liberatoria e salvifica; i giocatori di ruolo al contrario (dei nerd che l’immaginario collettivo vuole sovrappeso, con felpe fuori moda, un’unta coda di cavallo, magari dei buffi occhialini da aviatore e nessuna speranza di successo sociale) si infilano in un garage e vivono mondi immaginari e privati lontani da sguardi indiscreti. La sfida letterariamente era più tosta, e Santoni l’ha affrontata assecondando la natura intima dell’esperienza del giocatore di ruolo, mettendo a frutto la sua ventennale militanza nel ruolo di master – l’arbitro e leader del gruppo, colui che definisce regole, mappa del mondo, caratteristiche dei personaggi e che conduce le operazioni durante tutta la campagna – sublimandola donando al romanzo tratti da memoir (Muro di Casse virava più verso la pseudo-inchiesta) che convincono: a un certo punto della lettura sembra davvero di trovarsi attorno a quel tavolo da gioco, si riconoscono le peculiarità dei giocatori “storici” e si è sul punto di sprofondare in un mondo ulteriore, un dungeon o qualche altra segreta (non male considerando che siamo già immersi in un romanzo).
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Chi scrive viene da Roma, è un dato in questo caso significativo: ho passato la giovinezza in una grande città, ci si divertiva in tanti altri modi, c’erano i cinema, i cinema d’essay, lo stadio, i locali, i ristoranti aperti fino a notte fonda, le bische, per i più strani una serie infinita di musei – nessuno dei miei amici giocava di ruolo. Il racconto della Stanza profonda mi interessa anche per questo: è una finestra sulla provincia italiana, sullo sgretolarsi che la provincia ha vissuto negli ultimi 25 anni, nei paesi che si svuotavano dei punti di riferimento rimasti lì per secoli i ragazzi, inconsapevolmente sbigottiti, si rinchiudevano in stanze segrete a inventare mondi finalmente coerenti. E lo facevano attraverso schede in cui appuntavano poteri, abilità, difetti e segreti di personaggi che abitavano uno spazio virtuale. Pensa come stavano, mi dico aprendo distrattamente la mia pagina Facebook, dove forse grazie all’incantesimo della sospesa incredulità trovo la mia istruzione, i posti in cui ho vissuto, le mie abilità e la mia fitta rete di relazioni. Non è che niente niente 'sti paesani non erano poi così sfigati?