Scrive su «Linus» e «Pixartphinking» ma, se lo conoscete, la cosa più probabile è che vi siate imbattuti in uno dei suoi fulminanti post su Facebook (almeno fino a qualche tempo fa). Alessandro Gori, in arte Lo Sgargabonzi, è un comico toscano, della provincia di Arezzo, che negli ultimi anni ha saputo costruirsi un pubblico di appassionati sempre più ampio, un pubblico disposto ad accettare il continuo gioco di rovesciamenti e scorrettissime allusioni, frutto di una comicità provocatoria, imprevedibile e giocata su piani inaspettati, una comicità che per di più mette insieme e sfrutta, almeno sul social network, quelle che sono le debolezze sentimentali (e le carenze cognitive) tipiche di tanti utenti, imitati e messi alla berlina con sapienza magistrale.
Lo Sgargabonzi in poche parole è la migliore manifestazione della comicità che mi sia dato di intercettare direttamente su Facebook ma per buona sorte ho avuto modo di vederlo diverse volte anche dal vivo, grazie ai suoi frequenti spettacoli nella zona di Firenze. E dal vivo il coinvolgimento in uno dei suoi show è ancora più surreale: perché la distanza dell’abile scrittore che gioca coi registri dei social, è annullata dalla presenza scenica quasi timorosa di un ragazzotto che nascosto da un immancabile cappellino sfoglia i testi dei suoi monologhi su un leggio improvvisato, mettendo in scena la cosa più simile che potrete trovare in Italia all’interpretazione di uno stand up comedian, con la differenza che il pubblico non è abituato al tipo di spettacolo – e di solito è costituito da una cerchia di fan e conoscenti che giustamente pensano di condividere lo show quasi come un segreto – e forse anche lui, lo Sgargabonzi, a volte tradisce un briciolo di imbarazzo leggendo pezzi surreali, deragliati, scorrettissimi e che fanno ridere fino alle lacrime. Per farvi capire il tipo – cui tra l’altro hanno chiuso per un mese la notevole pagina Facebook in nome del solito avvilente perbenismo – basti dire che in occasione di San Valentino ha scelto di portare a San Casciano uno spettacolo sul Mostro di Firenze. Ho pensato di dargli spazio proprio oggi anche per questo. E allora cominciamo proprio dal ban, pare che i gruppi di neo-nazisti vadano bene ma una pagina satirica no. Vuoi cogliere l’occasione per ringraziare chi ti ha segnalato?
“Ho pensato di darti spazio eccetera. Ha parlato Dell'Utri, ha parlato!
Comunque sinceramente non saprei chi ringraziare. Ti dico questo: prendi le dieci persone a me più vicine, i legami più inossidabili, metti pure la mia famiglia. Se di notte apparisse ad ognuno di loro un angelo nero che gli dicesse: “Se dici sì lo voglio, Alessandro sarà infelice per sempre”. Per poi aggiungere: “E nessuno saprà mai che l'hai deciso tu”. Penso che, statisticamente, uno almeno su dieci direbbe “sì, lo voglio”. Non so chi, ma uno ci sarebbe di sicuro.”
Come è nata l’idea di uno spettacolo tutto sul Mostro? Tua vecchia fissazione tra l'altro, se non sbaglio.
“Il Mostro di Firenze è una mia passione fin dall’infanzia. È l’unico caso di cronaca con assassino seriale che, una volta tirati fuori dei sospettati, non ha partorito dei deludenti topolini. Qua c’erano, a scelta: contadini usciti dalle tenebre, fratelli sardi sessuomani, satanisti, massoni, uno stilista con l’HIV, un bambino che canta La Tramontana, un medico ritrovato suicida al largo del Trasimeno. Pare un film di Russ Meyer. Una storia piena di dettagli che più suggestivi ed evocativi non si può. E il Mostro, mai avvicinato dalle indagini, se la starà ancora ridendo lucidando la sua Beretta 22 e mangiando Simmenthal.”
L’idea di metterlo in scena proprio a San Casciano e proprio nella notte di San Valentino è ottima. Questa non è una domanda, mi rendo conto. Ma se vuoi dirmi qualcosa sulla scelta della data per me va bene.
“Il discorso data è squisitamente semplice: nel finesettimana non potevano.”
Da piccolo restavo sveglio fino a notte fonda per vedere le puntate di «Un giorno in pretura». Mi ipnotizzavano perché all’orrore dei delitti si aggiungeva l’assurda comicità degli imputati. Ricordo i monologhi di Vanni, le poesiole di Pacciani, e il tutto scorreva accanto alle immagini dei carabinieri che svenivano per l’orrore delle foto dei luoghi del delitto. Anche se la data è casuale il luogo non lo è: cosa significa portare questo spettacolo a San Casciano? Pensi che possa essere occasione di un momento di coscienza collettiva, magari arrivando a innescare un fantomatico “dibattito”?
“Hai in mente quando il Vanni in aula inveisce contro Canessa e viene portato via inneggiando “Viva il Duce, il lavoro e la libertà! Ritorneremo!”? Ecco, io non riesco a vedere quella scena senza commuovermi alle lacrime. Vedo proprio questo vecchio, ormai alieno in un mondo che non era più il suo, aggrapparsi ai propri punti fermi, peraltro sepolti dalla Storia. La stessa cosa quando vidi la lettura della sentenza di primo grado per Pacciani, con lui che si mette a piangere e urla disperato e inghiottito dalla folla di poliziotti. Proprio perché tutto meno che un brav’uomo, la sua disperazione mi faceva male. Mi piacerebbe un sacco se la serata a San Casciano desse vita a un dibattito.”
Per te dunque è del tutto impossibile che il Mostro fosse Pacciani?
“Ovviamente. A partire da un profilo psicologico. Il Mostro era un inibito, un moralizzatore. Uccideva prima che i due amanti consumassero, non toccava la donna, spostava i vestiti in punta di coltello. Non c’è mai traccia di sperma. Pacciani era un disinibito totale, tanto da arrivare all’incesto.”
Sei un autore comico che gioca molto con le provocazioni - anche se usate in modo obliquo e surreale -, ti ha mai creato problemi questo tipo di approccio (Facebook ban a parte)?
“Certo. Nel 2014, per una battuta ho avuto una folle querela con tanto di richiesta di un procedimento addirittura penale (che ad oggi non ha avuto giustamente seguito) da parte dell’avvocato di un personaggio coinvolto in un noto fatto di cronaca. E un locale ARCI di Arezzo, nel dubbio, fece subito sapere a mezzo stampa “annulla Lo Sgargabonzi Live con tutta l’indignazione del caso”. E sì che gli avevo sempre riempito il locale a gratis. Un po’ come scoparmi e andarsi a fare il bidè. Oltre a questo, in una serata a Belluno, un tipo è salito sul palco per picchiarmi dopo un pezzo sulle curiosità sui Down. “Ho fratello Down, hai capito?”, mi disse a un centimetro dalla faccia. Per fortuna ebbi la risposta pronta: “Non ho capito... tu hai un fratello che ha un fratello Down?”.”
Molte volte hai scherzato sull’articolo che ti ha dedicato Claudio Giunta su «Internazionale», un riconoscimento niente male. In realtà a forza di vedertici tornare sopra ho immaginato da parte tua una sincera lusinga, e forse anche un certo stupore nel constatare come i tuoi spettacoli stiano riscuotendo sempre più successo: ti aspettavi queste reazioni?
“A volte nel dormiveglia mi rigiro fra le coperte, sudato come un muflone morente. Tutto perché ripenso a quell’articolo del professor Giunta (severissimo docente di Letteratura Italiana all'Università di Trento) in cui si parla del “più grande scrittore comico italiano” e sto male perché dico: “magari fossi io”. Poi riprendo lentamente lucidità, mi ricordo che parla proprio di me e mi riaddormento sereno come un Mini Pony”.