Storie/ARTICOLO

Qualche dollaro nella borsetta di Elvezia Marcucci

Autobiografia di una brillante novantenne: dalla Maremma a New York e alla California, passando per due matrimoni e altrettanti figli. In gioventù, spera di fare la pianista, poi, una violenza la lascia incinta e lei sposa quell'uomo, fervente fascista, che sarà ucciso dai partigiani. In seguito, segue la figlia e vive trentadue anni negli Stati Uniti. Là si risposa e diventa una quotata ritrattista. Torna a Grosseto, dopo la morte del secondo marito

/ Redazione
Lun 13 Agosto, 2018

Eravamo nel 1947, allora io avevo trentasette anni e mi trovavo sulla nave che da Napoli, mi avrebbe portata a New York. Nella mia borsetta c’erano qualche dollaro, datomi da mia figlia Mirella e suo marito Oreste; il mio passaporto italiano; ed il permesso per andar negli Stati Uniti d’America ospite loro con il figlioletto Roberto. A malincuore avevo lasciato mio figlio Enrico, allora quindicenne ai miei due amici, marito e moglie. [...]

Questo viaggio, oltre a darmi la gioia di riabbracciare i miei cari, aveva anche lo scopo, con il loro aiuto di trovare il modo di sistemarci, anche io e mio figlio, in America, dato che per lui c’erano più probabilità di farsi un migliore avvenire. Non ricordo quanti giorni passammo in mare, credo di non avere avuto mal di mare, cosicché fu un viaggio tranquillo. Nella nave avevo incontrato diverse mogliettine italiane che avevano conosciuto i loro mariti americani soldati che erano in Italia per scacciare i tedeschi nella seconda guerra mondiale. Una di queste belle ragazze era bionda ed aveva sposato un mulatto, descritto da loro molto bello, sembrava, dicevano, un bianco abbronzato dal Sole. Finalmente la nostra traversata su l’Oceano ebbe fine ed entrammo nel porto di New York, dove "La Statua della Libertà" ci dava il suo "Benvenuto". Mentre scendevamo dalla nave, le ragazze facendosi largo fra noi, correvano felici per riabbracciare i mariti, i quali a loro volta avevano con se i genitori, o qualcuno di famiglia, per assistere all’arrivo di queste mogliettine italiane. Avevo veduto Mirella che sventolava un panno bianco per attirare la mia attenzione e mentre camminavo svelta per raggiungerla, vidi la biondina sparire fra le braccia della famiglia africana e del bel giovane mulatto. Mi sorprese questa mistura di colori, e la definii la mia prima esperienza americana. […]

Raccontai a Nicla, e qui non ridevamo, che per me avere la cittadinanza americana, che era necessaria per far venire Enrico in America, l’unico modo che averla dovevo sposare un americano, non c’erano altri mezzi ed erano passati più di quattro mesi che ero quà, fra altri due, si sarebbe consumato il permesso di stare quà in visita. Sposarmi di nuovo con l’esperienza avuta con Silio, non era proprio nel mio pensro, ma purQuesto viaggio, oltre a darmi la gioia di riabbracciare i miei cari, ché Enrico avesse la possibilità di un avvenire migliore quà che in Italia, avrei fatto qualunque cosa, anche questo sacrificio. Vedevo Nicla che mi guardava preoccupata per quanto le avevo detto, allora cambiai tono e ridendo le chiesi: "Non ce l’hai tu qualche conoscente giovane, bello e ricco da presentarmi?" Nicla abbracciandomi mi rispose: "Stai con me e ne cercheremo uno, da qualche parte e proprio come lo vuoi te". […]

Sentendomi meglio a sera scrissi a Mirella quanto mi era accaduto, e che stasse tranquilla per me, perché ero contenta di sposare presto il fratello di Albert, che era un uomo buono, alto e piuttosto distinto come tutti nella loro famiglia. Aspettai a scriverlo in Italia a matrimonio avvenuto. Non ricordo esattamente tutto quello che avvenne in quei giorni prima di sposarsi. Joe veniva sempre a trovarci e fra noi due si sviluppò una certa confidenza. Lui ed Albert fecero i documenti necessari e programmarono dove e quando si sarebbe svolto il matrimonio; Nicla ed io pensammo a come vestirsi e tutto fu pronto per il giorno stabilito. Prima di uscire ci guardammo nello specchio dell’armadio, congratulandoci a vicenda e pronte per andare con Albert e Joe, prima in Municipio, poi in Chiesa dove ci saremmo sposati anche davanti a Dio. […]

Io andai ad imparare a guidare e presi la patente. Appena presa, andai da sola a comprare una Scevrolet usata, ma in buone condizioni, e sorpresi Joe tornando a casa in macchina che io stessa guidavo. Mi divertì vedendo Joe sbalordito dalla sorpresa. In primavera andava in una scuola serale per insegnare acquarello, dovevo fare diversi chilometri prima di arrivarci, ma ormai guidavo bene, anche nelle strade scivolose dalla pioggia. Naturalmente trovavo anche il tempo per pitturare e feci anche qualche ritratto nel mio studio. Ritrovai tutte le mie amicizie e frequentavo il Museo, dove ci potevo fare anche qualche mostra con loro. Joe lo vedevo abbastanza contento d’essere di nuovo nel posto dove era nato, del resto tutti siamo attaccati al nostro paese, e io spesso soffrivo di nostalgia per la mia Maremma italiana, un giorno provai a descrivere questa "nostalgia":

tu, invisibile forma, spesso vieni da me quando il Sole si spenge, la gente si ritira dalla strada e fuori tutto tace. Mi turbi, mi soffochi, con le tue mani astratte, colpisci il mio coraggio e lo fai vacillare. A volte ti infiltri nelle note di una vecchia canzone, a volte in un profumo che credevo, d’avere dimenticato. Oggi, mi hai aggredito in pieno giorno, stavi in agguato nell’ album delle foto. […]

Dopo qualche mese dalla morte di Joe, non trovai più lo scopo di rimanere in America, nessuno aveva più bisogno di me, e meravigliando parenti e amici decisi di ritornare in Italia, nella mia Maremma per la quale avevo sempre sentito la nostalgia. Promisi a tutti che sarei ritornata ogni anno a trovarli ogni anno della mia vita e fino a due anni fa mantenni la promessa ai miei due figli, cinque nipoti ed otto bisnipoti, e Nicla naturalmente. Prima di partire mi presi il tempo per vendere la casa e tutto quanto che con Joe, avevamo accumulato nei quasi trentadue anni vissuti insieme. Lui morì il 13 Marzo 1979 ed io ritornai in Italia il 30 agosto nello stesso anno. Avevo allora sessantanove anni e li portavo bene, sentendomi ancora giovane per vivere da sola a Grosseto, nella mia Maremma. […]

Sapevo, certamente, che non avrei ritrovato il Grosseto di prima, non vivevo più nel Centro, ma in una zona nuova, anche le mie amiche non c’erano più per passeggiare insieme nel Corso, in su e giù dalle cinque fino alle otto di sera, tutti i giorni della settimana. Però ritrovai il mio Cielo azzurro ed il Sole, e ci scrissi queste frasi. "Finalmente a casa! Apro la finestra al Sole che vuole entrare. Aspiro, con rinnovata gioia, questa aria accogliente e mite della mia Maremma". Lavorai per diverso tempo, per mettere a posto la mia abitazione, comprai tutte le cose per arredarla come piaceva a me, e ce ne volle di tempo e di soldi. Sono passati ormai più di venti anni, e tutt’ora, all’età di novanta anni e per di più ci vivo ancora e da sola.

[Brani tratti da “Lontana terra. Diari di toscani in viaggio”, Terre di mezzo, Milano, 2005]