‘Sonoristan’ è il primo disco solista di Riccardo Onori, chitarrista tra i più rinomati della scena italiana che vanta collaborazioni eccellenti in Italia e all’estero, la più conosciuta delle quali è quella che lo vede accompagnare Lorenzo Cherubini dal vivo sin dai primissimi anni 2000. Il 'Sonoristan' è un paese immaginario, un paese dove non serve il permesso di soggiorno e in cui vivono tutti gli eccezionali musicisti che Onori ha avuto con compagni di viaggio, tra cui Gianluca Petrella, Sabina Sciubba, voce nei Brazilian Girls, Hindi Zahra, Dan Kinzelman, Ruben Chaviano, Dimitri Espinosa, Mudimbi, Mohamed Azizi, Ahmed Ag Keady, GRINTV e Ziad Trambelsi. Il disco è lo specchio del meltin pot musicale che proviene dall’esperienza artistica personale del musicista che spazia tra bolero, blues, cumbia e Afrobeat. Sonoristan segna anche la nascita della nuova dell’etichetta BC LINE, costola della Black Candy Records dedicata alla scoperta di nuove sonorità raffinate e ricercate. Ecco la nostra intervista.
Italo Calvino ha scritto ‘Le città invisibili’ dove immaginava città fantastiche, tu invece per il tuo disco hai immaginato il ‘Sonoristan’, com’è?
Italo Calvino è uno dei miei scrittori preferiti. Amo quando scrive della leggerezza che non vuol dire essere sciocchi, anzi praticare la leggerezza è una cosa molto difficile. Il ‘Sonoristan’ è una nazione immaginaria che accoglie le persone che hanno frequentato questo disco. L’idea mi è venuta perché a un certo punto mi sono reso conto che c’era una sorta di migrazione nel mio studio. C’erano musicisti africani, cubani, italiani, è stata un’esperienza molto interessante. Una cosa del genere in questo periodo storico mi sembra in controtendenza. Mi sembra che oggi si preferisca chiudersi, invece secondo me le cose belle vengono sempre dall’apertura nei confronti dell’altro.
Mi sembra che questo disco che contiene tanti stili diversi, spaziando dal jazz, al blues, all’afrobeat rispecchi un po’ quello che sei te: un musicista che ha spaziato molto nella sua carriera
Io sono sempre stato uno che non ha mai amato le etichette, non penso che chi suona il jazz non può ascoltare il metal. Questa cosa non l’ho mai capita, devo dire che nella mia esperienza live, quando sono andato nei festival americani mi sono reso conto che là non c’è nessuna pressione in questo senso. Sullo stesso palco puoi vedere i Roots che suonano prima di Neil Young e dopo suonano i Metallica. Non hanno nessuna connessione, è il pubblico che crea la connessione. L’importante è fare bella musica.
Mi è piaciuto molto il video di ‘Sea no street’ che hai registrato con Petrella e la fantastica Sabina Sciubba delle Brasilian Girls, mi sembra il tema degli sbarchi ti stia particolarmente a cuore
L’idea del video è stata quella di mettere una Sabina Sciubba un po’ aristocratica, da aperitivo, quasi annoiata su un gommone. Noi stiamo assistendo alla migrazione di persone che partono dal loro paese con grossissime difficoltà. I racconti di questi viaggi sono epici, l’arrivo nel nostro paese vivi è già un miracolo. Noi possiamo ‘rifiutare’ le persone che fanno questo tipo di viaggio proprio perché non sappiamo cosa stanno passando. Mi sono immaginato una Sabina Sciubba con il cocktail in mano che si trova su un gommone ed è come ‘costretta’ a immigrare da qualche parte. Tutti noi potremmo un giorno dover essere costretti a questo, lo siamo stati in passato. L’Italia è un paese che è emigrato in America, in Germania e non siamo stati trattati bene. Mi piacerebbe nella mia utopia che noi continuassimo ad accogliere queste persone e magari fare uno step ulteriore integrandoli, questa è la cosa importante.
Tantissime le collaborazioni nel tuo disco, quella che mi ha colpito di più è quella nel pezzo che dà il titolo al disco, con questo ragazzino rapper del ’96 GRINTV. Com’è stato confrontarsi con un musicista che ha 10-15 anni meno di te?
Forse anche qualche anno in più. Per me è molto stimolante questo tipo di occasione perché il ragazzino del ’96 non ha nessuna idea di quello che io ho fatto e faccio. Non c’è un atteggiamento reverenziale da parte sua perché io ho fatto chissà cosa nella mia vita. Questa cosa è molto interessante, mi serve fare qualche passo indietro per arrivare a lui, per poi portare lui avanti in qualche modo. È stata un’esperienza bellissima. Mi è piaciuto mischiare l’occidente di Pietro che è un ragazzino molto incazzato che cerca di sgomitare in questo mondo e dall’altra parte un tunisino Ziad Trambelsi che è molto fiero e che è qui in Italia da molti anni. Mi è piaciuto questo binomio di due mondi completamente diversi che è quello che poi viviamo oggi.
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Quando un musicista esordisce con un disco solista lo fa con un carico di emozioni molto forte. Sabato 17 dal Capanno Black Out di Prato partirà il tuo tour, come ti stai preparando emotivamente?
Sono molto emozionato, non sarà per niente facile riuscire a suonare dal vivo un disco con così tante collaborazioni. È praticamente impossibile rendere tutti i pezzi come sono sul disco, però ho trovato una cantante molto brava Giulietta Passera una ragazza di Torino che ha lavorato in molte situazioni live importanti, è molto in gamba ed è appassionata sia di musica elettronica che di musica africana, quindi è un binomio perfetto per me in questo momento. Riesce a stare dentro a tutti i mondi che io le sto proponendo personalizzandoli.
Tante collaborazioni ma non hai chiamato Lorenzo, come mai?
In realtà una collaborazione c’è stata perché quando gli ho fatto sentire il mio disco ha preso un pezzo e l’ha messo nel suo disco, la canzone ‘Italia’ in realtà era nata per il mio disco.
Ma come ti sei fatto anche ‘rubare’ un pezzo!?
Non è rubare, mi ricompensa lautamente una cosa del genere. Tutte le volte che lui prende qualcosa da me io posso essere solo contento, è un grande onore per me avere a che fare con un artista del suo calibro. Non mi sento mai ‘defraudato’ di niente.
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