“A quel tempo la follia non era ovattata, dissimulata, intontita, mascherata, camuffata come oggi con gli psicofarmaci. La follia esplodeva come un vulcano”. Così Mario Tobino descrive i pazienti dell’ospedale psichiatrico dove lavorò e visse per più di quaranta anni nel suo libro “Le libere donne di Magliano”, dove Magliano sta per Maggiano, il borgo arroccato su una collina vicino a Lucca, dove si trovava il manicomio che fu la casa per lo scrittore viareggino. Autore sì, ma anche psichiatra: medico delle anime che raccontava, delle vite spezzate che assisteva e che trasfigurava in letteratura, perché anche a questo servono i libri.
Oggi il manicomio di Maggiano - abbandonato gradualmente a partire dal 1978, in seguito alla legge Basaglia, e chiuso in via definitiva nel 1999 - è l’unico “ospedale dei pazzi” di tutta la Toscana che può essere visitato. È stata la Fondazione Mario Tobino a salvare dalla rovina uno dei più antichi manicomi d’Italia, aperto sin dal 1773, e a trasformarlo in un museo. È proprio Tobino la guida narrante del percorso aperto al pubblico l’ultimo fine settimana di ogni mese: le frasi dei suoi libri ci accompagnano nelle stanze, dove osserviamo le fototessere dei malati attraverso una grata, gli strumenti di cura, in sottofondo le voci di chi visse il manicomio. “Stanze con vista sull’umanità” ci porta nella vita e nella quotidianità dei ricoverati, non solo malati di mente ma anche donne con figli illegittimi, poveri che non avevano un altro posto dove andare e in generale tutti i diseredati della società, bollati “matti” secondo le convenzioni sociali del tempo in cui si trovarono a vivere.
Passeggiando tra le rovine delle immense cucine, delle camerate, dei chiostri dove i pazzi giocavano a dama su scacchiere improvvisate, è difficile immaginare come doveva essere Maggiano anche solo 50 anni fa: una vera e propria cittadina, dove tra medici, infermieri, inservienti e 1200 pazienti vivevano circa 2mila persone. Un borgo quasi autonomo: i malati coltivavano i campi, facevano il pane, tessevano i vestiti e le coperte. Migliaia di storie si sono intrecciate tra queste mura, sulle scalinate che ispirarono a Tobino il titolo del suo romanzo “Per le antiche scale”, premio Campiello nel 1971, forse la sua opera più toccante dedicata ai folli che per lo scrittore che non aveva avuto figli erano diventati quasi una famiglia, tanto che anche quando andò in pensione chiese e ottenne di poter continuare a vivere nel manicomio. Le stanze dove abitò sono aperte alle visite, rimaste intatte. Sul comodino l’unico libro aperto è la Divina Commedia, l’inferno dantesco come metafora avveratasi di quella discesa negli abissi dell’umanità a cui Tobino dedicò la sua vita.
Ma non finisce qui. A dicembre sarà pronto il restauro conservativo della parte di ex ospedale psichiatrico adiacente alla Palazzina dei Medici e nascerà il laboratorio della mente. “Qui confluiranno i frutti delle ricerche che la Fondazione ha in questi anni condotto in diversi ambiti: storico, storico della psichiatria, psichiatrico, letterario, di storia orale – spiega il direttore della Fondazione Mario Tobino, Marco Natalizi – sarà un luogo restituito alla collettività e di interazione emozionale. È in costante crescita l’afflusso di persone da tutta la Toscana alla nostra Fondazione per confrontarsi con il tema del disagio mentale, e si avverte il bisogno diffuso di strumenti di lettura, comprensione e interazione”.
Le visite sono previste tutto l’anno il giovedì pomeriggio e il venerdì mattina, con prenotazione obbligatoria attraverso il sito internet. La prossima apertura straordinaria senza prenotazione si terrà sabato 23 e domenica 24 febbraio, con tre turni di ingresso: alle 15, alle 16 e alle 17.
Per informazioni: www.fondazionemariotobino.it