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L'università di Pisa studia il Megalodon: si nutriva di balene

Lo studio coordinato da paleontologi dell’Ateneo pisano fornisce informazioni sulla dieta del gigantesco mostro marino ormai estinto

/ Redazione
Lun 23 Gennaio, 2017
Squalo

Il "Megalodon" poteva superare i sedici metri di lunghezza, ed è considerato uno dei più grandi predatori mai esistiti sulla faccia della Terra, si ritiene che le sue enormi fauci potessero mordere con una forza dieci volte maggiore di quella dell’odierno squalo bianco. È il Carcharocles megalodon, un gigantesco squalo estinto che ha ispirato celeberrimi mostri marini del mondo del cinema, come il terrificante protagonista de “Lo Squalo” di Steven Spielberg.

Questo mitico killer del passato è stato identificato dai paleontologi grazie ai suoi resti fossili (principalmente denti e vertebre dalle dimensioni strabilianti ritrovati all’interno di sedimenti marini depositatisi tra 20 e 3 milioni di anni fa circa), ed è ormai ben noto al grande pubblico come uno spietato cacciatore delle balene degli antichi mari. Tuttavia, al netto delle speculazioni, fino ad ora le testimonianze fossili non offrivano molti dati oggettivi circa le abitudini alimentari di questo animale dalla fama leggendaria. Ma una recente ricerca coordinata dai paleontologi dell’Università di Pisa potrebbe gettare un po' di luce su questi aspetti.

Se facciamo un parallelo con le abitudini alimentari dello squalo bianco, considerato un analogo moderno e 'miniaturizzato' del Carcharocles megalodon, possiamo ragionevolmente ipotizzare che questo gigantesco squalo estinto avesse una dieta ampia e diversificata che, pur comprendendo pesci e molluschi era comunque incentrata sui mammiferi marini di media taglia foche e cetacei. Al contrario, l'ipotesi secondo cui il Megalodon era un attivo predatore di grandi balene non appare adeguatamente supportata dai dati attualistici. È anche possibile ipotizzare che l’estinzione delle balene di piccole dimensioni, fra cui i Cetotheriidae, intorno ai 3 milioni di anni fa (cioè alla fine del Pliocene) abbia privato questo grande predatore delle sue prede predilette, favorendone l’estinzione”.

“Il nostro studio - ha dichiarato il professor Bianucci - non solo contribuisce a conoscere la biologia del più grande squalo mai esistito, ma anche a chiarire le dinamiche evolutive che hanno portato ai grandi cambiamenti nella fauna marina, spesso legati al rompersi di delicati equilibri tra prede e predatori, fino alla messa in posto della fauna attuale”.

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