«Aiutiamoli a casa loro». È il grido ripetuto di chi sfoga l'insofferenza per situazioni di convivenza che ritiene insopportabili. È il grido di chi, forse, non ha mai misurato il valore dell'integrazione. Un considerazione che potrebbe apparire fin troppo banale se non fosse spiegata da piccoli fatti concreti. Episodi secondari di vite complesse che per lo più rimangono nascoste nei ricordi dei protagonisti. A volte neppure troppo vicini alla superficie, ma sepolti. Come dettagli secondari di un'esistenza uguale a tante altre. Piccoli frammenti di vita che a volte la casualità restituisce alle cronache locali, che raccontano la storia come un fatto eccezionale. La straordinarietà di certi episodi è conseguenza innaturale di diffusi (e a volte barbari) luoghi comuni che solo certi dati di fatto possono e sanno smentire.
È il caso di Jean-Marc, giovane profugo che proviene da un paese altrettanto giovane. Il suo è un nome di origine francese. Del resto, complice il colonialismo, è quella la lingua parlata dal 70 per cento della popolazione della Costa D'Avorio. Un paese che per la metà è composto da persone sotto i trentacinque anni che rimanendo lì non credono di avere un futuro. Eppure lì, in Costa D'Avario, c'è abbondanza di caffè. Ma anche di cacao, petrolio e minerali (diamanti compresi). Nonostante queste ricchezze, nel paese è assente qualsiasi prospettiva di sviluppo. E così i giovani come Jean-Marc M'Boua decidono di andarsene per respingere la guerra dei grandi per il denaro e quella tra i poveri per la sopravvivenza.
Ora lui ha vent'anni ed è ospite di un centro accoglienza di Prato. Con la palla ai piedi dimostra di avere anche un certo talento. Giocare in eccellenza con la Vaianese Impavida di Vernio gli permette di fare qualche passo in avanti verso una mai facile integrazione. Pochi giorni fa - dopo aver pareggiato in casa contro la Folgor Marlia (per la cronaca la gara si è conclusa 2 a 2) - fuori dagli spogliatoi Jean-Marc ritrova un portafogli. Dentro ci sono 145 euro, i documenti del proprietario (un coetaneo della squadra avversaria), nessun numero di telefono. Decide quindi di restituirlo. Un fatto eccezionale? «Nient'affatto, era la cosa più normale da fare», dice.
Già, la normalità. Eppure non c'è niente di consueto nell'andare alla ricerca del ragazzo toscano salendo su un treno a Prato, scendendo a Lucca e raggiungendo a piedi lo stadio di Marlia, a Capannori. Tutto questo, non prima d'essersi perso. Poi i tasselli sono andati al loro posto, tra incredulità e sorpresa. C'è stato l'incontro col custode dell'impianto, poi con l'allenatore della Folgor Marlia, che a sua volta ha chiamato Andrea Della Maggiorana, il ragazzo che aveva smarrito il portafogli. Alla fine Jean-Marc ha affrontato un viaggio di una settantina di chilometri e qualche imprevista peripezia. Ma tutto questo è niente a confronto del viaggio che l'ha portato in Italia dopo essere salpato dalle coste libiche, circa un anno e mezzo fa.
Di normale, in questa storia di ordinaria solidarietà, non c'è neppure il finale. Che arriva improvviso, figlio di una gratitudine e di una riconoscenza meritata. Non per il gesto in sé, ma per quell'attitudine all'altro dimostrata da Jean-Marc. Il suo permesso di soggiorno era in scadenza e il padre del giovane toscano ha pensato bene di offrirgli un posto nell'azienda per cui lavora, a Cremona.
Una favola a lieto fine, quindi. Un esempio concreto d'integrazione che ha suscitato un legittimo clamore ma che non deve stupire. Visto che i due gol segnati dalla Vainese al Folgor Marlia sono di Doumbia e Lulja. E perfino l'assistente, Kadir Ilyass, è un giovane arbitro pratese di seconda generazione.