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Intervista a Le Cose Bianche: musica 'urlata' per cuori timidi

Giò Mori da oltre dieci anni porta avanti il suo progetto di power electronics nell’undeground aretino, per intoscana racconta in anteprima il suo ultimo lavoro

/ Costanza Baldini
Mer 26 Settembre, 2018

Dice che per sopravvivere gli potrebbero bastare un paio di dischi di Morrissey e qualche sigaro toscano, ma non potrebbe mai stare senza il cinema, la sua prima, grande passione. Un po’ Vincent Gallo in Buffalo ‘66, un po’ Robert De Niro in Taxy Driver, “incapace alla socievolezza”, lontano da ogni possibile incasellamento e compromesso con la società…tutto questo è Giò Mori, aretino doc che da più di dieci anni porta avanti uno dei più interessanti progetti di power elettronics in Italia: LCB ovvero Le Cose Bianche. Nell'inverno 2018 per Hellbones Records uscirà il suo nuovo disco “Tutto il corpo è genitale” realizzato in collaborazione con Bruno Dorella (Bachi da Pietra, Ronin, OvO, Jack Cannon), Wertham, Lunus Devis dei Teatro Satanico e Eraldo Bernocchi dei Sigillum S. Ecco la nostra intervista.

Ti ricordi la prima volta che hai preso in mano una chitarra? Come hai iniziato a suonare?
Ho iniziato a suonare da piccolissimo, avevo quattro, cinque anni. Fui mandato a lezione di pianoforte dai miei genitori per una decina d’anni, fino ai 13, 14 anni. Lo vissi come un’imposizione, una scuola, mi ricordo che mi pesava tantissimo solfeggio, alla fine abbandonai. In casa però c’erano tanti vinili, niente di particolare ma non mancava qualche classicone, tra cui Pink Floyd, Led Zeppelin. Ascoltandoli mi colpiva molto un suono che non capivo cos’era. Poi iniziai a vedere i primi video in televisione, era l’epoca delle prime tv musicali come MTV, TMC2 e mi piaceva questa chitarra con quattro chiavi immense. Scoprii che in realtà era il basso, così semplicemente dissi ‘voglio suonare il basso’. Da lì è partito tutto. Avevo in casa anche la chitarra di mia madre e iniziai a suonarla perché mi permetteva un ampio margine creativo. A 18 anni poi mi regalarono la prima chitarra seria. Il basso però per me resta lo strumento d’eccellenza. Sono anche un collezionista, avrò avuto sessanta bassi nella mia vita, mi piace smontarli e rimontarli, mi diverto ad assemblarli, modificarli, cablaggi vari, cambi di elettroniche, il mio è un amore molto feticistico.

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Come mai hai scelto di fare power elettronics e non hai fondato la classica rock band come tutti i ragazzi normali?
Ho iniziato come tutti tra i 15 e i 20 anni con i gruppi della zona. Però mi ero rotto i coglioni, non riuscivo a integrarmi nel meccanismo dei gruppi, perché c’era un ripetere pedissequamente i soliti tre accordi in sala prove, ad libitum. Non ci vedevo nessun tipo di processo creativo. Era una cosa davvero tediosa e quello che ne usciva era abbastanza imbarazzante e improponibile, uno scimmiottare continuo, quindi smisi completamente. Nel ’98 e ’99 era nato il trip-hop a Bristol che amavo molto, poi scoprii l’Industrial, di cui uno dei padri fondatori era Maurizio Bianchi. Iniziai quindi da fan a conoscere varie realtà italiane, come Macelleria Mobile di Mezzanotte. Non c’era Internet, quindi era tutta una curiosità e una ricerca continua. Fu anche qualcosa di esoterico, una volta entrato in questo mondo mi dissi: perché non provare a fare qualcosa di simile per esprimermi.

Le Cose Bianche è un progetto che porti avanti da ben undici anni, quali sono stati gli episodi più importanti?
È stata un’escalation involontaria, non c’è mai stata da parte mia la volontà di arrivare, piuttosto di fare. Tutte le conoscenze e le collaborazioni sono arrivate per caso o per stima e curiosità da parte degli altri. Tra gli eventi più importanti sicuramente la mia lunga permanenza romana durante la quale sono nate molte amicizie storiche. In qualche maniera Roma essendo particolarmente legata al cinema, su di me ha avuto un potere evocativo che mi ha permesso di scrivere tanti testi, è stato un fulcro molto vitale. Poi sicuramente la collaborazione con Maurizio Bianchi e il rapporto con i Sigillum S, per cui mi sento un privilegiato, mi sento un ‘figlioccio’ di Paolo Bandera, e anche la stretta collaborazione con Eraldo Bernocchi. La cosa più importante per me è stato riuscire a trasformare i rapporti musicali in rapporti di amicizia e viceversa come con Iugulathor e altri, il poter dire: “ho un’idea, facciamolo”.

Passiamo a parlare del tuo nuovo disco “Tutto il corpo è genitale” è un titolo che reclama a gran voce una tua spiegazione per noi poveri mortali
È un titolo che non è mio, è preso da un film di Kim Ki-duk: “Moebius”. C’è questo sito che si chiama “Whole body is genital”, un titolo che tradotto in italiano sembra legarsi al mio disco precedente “Tutti quanti sognano porno”.

Il cinema è una tua grande passione, entra in tutto quello che fai, se ne avvertono le forti influenze anche in questo disco. A quale film ti sei ispirato maggiormente per questo tuo ultimo lavoro?
Sì, potrei vivere senza problemi senza ascoltare musica, mi basterebbero un paio di dischi di Morrissey, potrei anche vivere senza suonare, ma sicuramente non potrei mai vivere senza cinema.

È una cosa stranissima detta da un musicista, te ne rendi conto?
Ti dirò di più, a volte mi annoio anche ad ascoltare musica, dopo un po’ mi rompo i coglioni. Paradossalmente se penso agli ultimi brani che ho scritto mi vengono in mente i film che stavo vedendo mentre li scrivevo, le immagini che avevo davanti. È un po’ surreale però è la verità. Le influenze cinematografiche in questo disco sono sicuramente “A Beautifull Day” di Lynne Ramsay, e tutti i film di Paul Schrader, in tutti i miei dischi c’è qualcosa che rimanda a lui, come “Lo spacciatore” per esempio. Recentemente anche “Vaghe stelle dell’orsa” di Visconti.

Nei tuoi pezzi parli di “una solitudine grande quanto il mondo”, oppure dici “convivo con una solitudine che nessun altro conosce”, “quant’è duro essere se stessi, quando devi restare solo con te stesso”. Mi sembra che il tema del disco sia la solitudine, mi sbaglio?
Prima di tutto diciamo che il pezzo “Ti auguro di rimanere da solo” cita un brano di Morrissey “I wish you lonely”, ma il senso è diverso. Morrissey dice “Ti auguro la solitudine” io lo interpreto come una sorta di anatema, una maledizione, anche se mi potrei sbagliare. “Ti auguro di rimanere da solo” invece per me significa trovare i lati buoni del restare soli, per una crescita personale. In fondo a volte la solitudine serve. Ma non credo che il tema del disco sia la solitudine in senso stretto, essendo un uomo totalmente privo di fantasia ricorro a quello che mi succede e che sento, c’è sempre una coerenza in quello che faccio.

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Quando scrivi i tuoi pezzi pensi mai al tuo pubblico? A chi appartiene l’orecchio che ti ascolta, come te lo immagini?
Questa è una domanda che mi sono posto recentemente perché è venuto a mancare Lorenzo De Angelis che era uno speaker di Radio Onda Rossa di Roma, si è suicidato giovanissimo, aveva trent’anni. Sono stato intervistato da lui, era un mio ascoltatore, amava molto i miei brani, in particolare uno: “Come se non fossi mai esistito”. Si era identificato con questo pezzo e nel 2015 mi chiese spiegazioni che però non ricevette perché troppo personali. A distanza di tre anni lui non c’è più. Ultimamente questa cosa mi sta facendo riflettere parecchio. Mi piacerebbe che chi mi ascolta trovasse qualcosa di sé comune al mio e in qualche maniera potesse non dico salvarsi, ma sentirsi magari meno solo per senso di comunanza, come capita a me quando ascolto un brano di Morrissey o leggo una poesia di Kavafis.

L'immagine della copertina del disco è la foto di un elefante, protagonista anche del pezzo “Ti auguro di rimanere da solo” (“Sono il barrito di quell’elefantessa in fuga dalle fiamme senza i suoi cuccioli, sono quel piccolo di elefante con metà del corpo che sta andando a fuoco nel Bengala occidentale. Il calore delle fiamme brucia la sua pelle delicata nell’indifferenza della folla e poi il silenzio”). Come mai hai scelto propio questo animale?
È stato un caso, la copertina doveva essere tutt’altro, l’idea era usare una delle mie foto “Bacon-iane”. Poi frugando nei vecchi hard disk ho ritrovato una foto che avevo fatto in analogico a un circo, quando era ancora vivo mio padre, con la sua macchina. Il brano è venuto prima del ritrovamento, era come se il testo chiamasse questa foto. Io credo che gli elefanti siano animali molto primordiali, dotati allo stesso tempo di grande forza ma anche di una dolcezza così rara. Per me sono sacri, è inconcepibile che li uccidano per segargli le zanne. Sono animali tristi perché per quanto siano immensi vengono massacrati, come se fossero totalmente indifesi. La loro potenza unita alla profonda bontà mi ha sempre fatto commuovere. Quindi forse si è tutto collegato involontariamente, senza dover decidere niente.

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Questo è stato un anno molto prolifico per te, tante collaborazioni oltre al tuo nuovo disco
Sì, per la label Old Europa Cafe uscirà anche l’ultimo disco di Cronaca Nera in cui ho lavorato. Cronaca Nera è un progetto parallelo della Macelleria Mobile di Mezzanotte curato dal mio amico Adriano Vincenti che mi ha coinvolto dal 2014. Sarà l’ultimo disco che faccio con lui perché si ricollega a periodi molto belli della mia vita, e a un certo punto ho sentito che determinate atmosfere e ricordi non facevano più per me. Per dirlo con una citazione cinematografica dal film “Strange Days” di Kathryn Bigelow: “I ricordi sono fatti per svanire Lenny, sono fatti così per una ragione ben precisa”.

Per informazioni:
https://lecosebianchelcb.bandcamp.com
https://hellbonesrecords.bandcamp.com

 

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