Non tutto quello che gli occhi non vedono non esiste per definizione. Ciò che è nascosto alla vista può vivere, pulsare, scorrere. E può anche rappresentare un rischio. Sotto ai nostri piedi, in città come in alcune zone rurali, c'è un universo di reticoli in cui scorrono acque "nascoste". Corsi che un tempo erano a cielo aperto e sulle rive dei quali si saranno senz'altro fermati gruppi di bambini per far navigare una barchetta di carta o più semplicemente per vedere i cerchi concentrici di un sasso lasciato volutamente cadere. Acque che esistono da molto prima di noi e che l'uomo ha coperto, modificato o deviato per esigenze urbanistiche, sanitarie o, come in certi casi, solo per irrigare campi e giardini.
E proprio di "Acque nascoste" si è parlato a Palazzo Fenzi nel corso di un appuntamento organizzato dal Centro studi emergenze (Cse), Università di Firenze e Consorzio di bonifica Medio Valdarno in collaborazione con Cesvot e Labgeo e con la partecipazione, tra gli altri, di Progetto Toscana Firenze 2016. Un momento pubblico di approfondimento, conoscenza e condivisione sul reticolo idrografico minore della piana fiorentina, con focus specifici sui temi della memoria, del rischio e della gestione.
«Grazie alla conoscenza si diventa più resilienti» tiene a ricordare Margherita Azzari (Università di Pisa) prima di dedicarsi al significato e al valore della storia. Non solo quella relegata ai libri di testo e al passato. Ma anche quella viva, che sopravvive come eredità di scelte compiute secoli fa. Perché affrontare il tema dell'acqua significa parlare anche della storia e dell’identità di un territorio. Una consapevolezza che ha avuto inizio con gli studi sul piano regolatore di Sesto Fiorentino. «Ci accorgemmo che i piccoli corsi d’acqua non erano presenti nel reticolo idrogeografico» spiega Azzari.
E così è iniziato un percorso di ricerca che ha portato anche a nuove scoperte. La più rappresentativa riguarda la Fortezza da Basso. Quando iniziarono i lavori per realizzare il parcheggio nei pressi della stazione di Santa Maria Novella emersero criticità per la presenza di un reticolo idrografico mai riportato dalle mappe. Solo in quel momento, studiano antiche carte conservate in prestigiosi archivi europei, si è venuti a conoscenza che proprio lì, in corrispondenza della stazione, c'erano i giardini dell'antica famiglia fiorentina dei Riccardi. «Se oggi osserviamo le due piante a confronto - fa notare Margherita Azzari - possiamo notare anche una corrispondenza nell'organizzazione degli spazi».
Questo è soltanto una delle tante storie, conosciute o inedite, emerse - è proprio il caso di dirlo, parlando d'acqua - dalle approfondite e minuziose ricerche sulla cartografia storica. Un lavoro necessario che copre anche colpevoli lacune, visto che sulle mappe realizzate con la nascita della legge regionale in materia (era il 2012) c'erano corsi mancanti e recuperati solo con lo studio di carte settecentesche che l'ultimo Granduca di Toscana portò con sé nella fuga e che ora sono conservate nell’archivio di Stato di Praga.
«L’acqua è stata trascurata. Non le abbiamo portato rispetto e non l'abbiamo considerata né come risorsa né come pericolo. Si è nascosta da sola o l’abbiamo nascosta noi?» si domanda Giorgio Federici, che oltre a essere docente all'Università di Firenze è anche a capo del Comitato Firenze 2016. «Lo abbiamo fatto noi, fisicamente e metaforicamente. Perché abbiamo anche dimentica i problemi che pone». Tra i quali, ovviamente, ci sono anche quelli di protezione civile e sicurezza del territorio. Non serve ricordare la devastazione della grande alluvione del '66 per far capire di quale rischio stiamo correndo. Il promemoria arriva proprio da Salvatore Arca, presidente del Cse. Il Centro studi emergenze è un'associazione di volontariato che ha trova la sua mission nell'informare per sensibilizzare e prevenire i rischi.
È proprio lui a spiegare perché le acque nascoste vengono definite "tombate", utilizzando quindi un termine attinto dall'immaginario cimiteriale. «Fin dai primi dell'Ottocento - spiega Arca - iniziammo a coprire i corsi d'acqua. Perché? I canali erano diventati fogne a cielo aperto. Sono stati coperti per ragioni sanitarie più che condivisibili...». Acque nascoste, tombate, che scorrono ancora oggi e che necessitano di cura e attenzione. Possiamo accorgerci di un fiume in piena, ma non di un canale impetuoso che sotto i nostri piedi minaccia di esplodere. Eppure l'attualità, anche in Toscana, ci ha messo di fronte a ripetuti disastri. Cosa fare, quindi? La prima delle risposte arriva da Enio Paris, anche lui docente all'Università di Firenze: «Nuovi piani idonei di gestione del rischio».