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I testimoni: Marcello Martini

Nel 1944 aveva solo quattordici anni ma compiva importanti e pericolose azioni come staffetta partigiana: apparteneva al gruppo Radio Cora con mansioni di informatore

/ Redazione
Mar 10 Dicembre, 2013
Marcello Martini
E’ figlio del maggiore Mario Martini, comandante militare del Comitato di Liberazione Nazionale della zona di Prato. Nel 1944 aveva solo quattordici anni ma compiva importanti e pericolose azioni come staffetta partigiana: apparteneva al gruppo Radio Cora con mansioni di informatore. Tutta la sua famiglia era attiva nella Resistenza e il 9 giugno, dopo che il gruppo di Radio Cora fu scoperto e arrestato a Firenze, anche la casa di Montemurlo della famiglia Martini fu circondata dalle SS italiane e tedesche e tutti i suoi componenti (eccetto il figlio Piero, non presente in quel momento) babbo, mamma, i fratelli Anna e Marcello, catturati. Solo il maggiore Martini riuscì a fuggire.

La Signora con i due figli fu condotta a Firenze, a Villa Triste, la sede dei terribili interrogatori e delle torture perpetrate dalla famigerata “banda” del fascista repubblichino Mario Carità. Madre e figlia furono rinchiuse nel carcere femminile di Santa Verdiana e successivamente liberate con un audace colpo di mano dei partigiani, Marcello invece portato alla prigione delle Murate, poi, nonostante la giovanissima età, trasferito al campo di transito di Fossoli vicino a Carpi e quindi, con il trasporto del 21 giugno 1944 a Mauthausen.

Fu poi destinato al sottocampo di Wiener Neustadt e assegnato ai Cantieri della Rax Werke a lavorare come “chiodatore” nella costruzione dei battelli fluviali
. Dopo essersi gravemente ferito al piede e aver contratto seri dolori reumatici fu ancora trasferito nel campo di Mödling, vicino a Vienna. I circa 1200 deportati di quel campo, tra cui anche Marcello, il 1° aprile 1945, furono incolonnati per il ritorno al “campo madre” di Mauthausen. Dovettero subire lo strazio di una marcia estenuante che durò 6 giorni e solo i due terzi arrivarono vivi a Mauthausen.

Molti altri di quel gruppo morirono anche dopo per fame e per stenti oppure uccisi nelle camere a gas perché non più in grado di lavorare. Marcello fortunatamente riuscì a sopravvivere e dopo la liberazione rientrò in Italia dovendo affrontare, a soli quindici anni, lunghe cure di riabilitazione. Si è poi trasferito in Piemonte dove ha lavorato come dirigente di azienda e dove risiede ancora.

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