Non spreca parole, ma ne ha per tutti. Ringrazia, certo, e parla di se stesso (poco e con pudore). Tira fuori ricordi e aneddoti selezionati con attenzione da una storia sportiva e professionale che va avanti ormai da mezzo secolo. E poi parla con chi gli porge un libro - il suo - per una firma. Lui non fa smorfie, ma dimostra interesse per il suo interlocutore. «Cosa ti caratterizza?», chiede. E poi regala una dedica che non è solo un cognome scritto su una pagina bianca.
Del resto Gigi Garanzini è fatto così. Quei settant'anni compiuti da poco l'indossa come fossero leggeri leggeri. Se non fosse per quelle migliaia di storie di calcio che affiorano dai suoi ricordi, neppure si accorgerebbe di averli con sé. È un giornalista sportivo e uno scrittore, Gigi. In molti (i più giovani) oggi sanno distinguere la sua voce prima del suo volto per i tanti anni che Garanzini ha trascorso a Radio 24 conducendo la trasmissione "A tempo di sport". Ma chi ha qualche anno in più se lo ricorda in televisione, seduto a tavola con Gianni Mura, a parlare di calcio con un bicchiere di vino rosso davanti a formaggi e insaccati portati in studio dai vari ospiti. Ovviamente ognuno regalava un pezzo dell'eccellenza gastronomica della propria terra.
«Fui segnalato a Montanelli, che mi proposte di scrivere per La Voce. Sapevo che sarebbe stato un progetto destinato a concludersi presto, però mi persi nell'azzurro dei suoi occhi e accettai. Un anno dopo ero senza lavoro» racconta Garanzini, arrivato in Toscana per parlare del suo libro ("Il minuto di silenzio", edito da Mondadori) su invito del Rotary Club Lucca. «Fu a quel punto che ricevetti la chiamata dell'allora direttore Rai. Voleva affidarmi una trasmissione notturna in cui parlare di calcio dopo la Domenica sportiva. Gli chiesi quale fosse il budget, mi risposte che non c'era una lira. Così m'inventai la tavola apparecchiata con la tovaglia a quadretti...». Tra gli altri ricorda Giorgio Pedraneschi, allora presidente del Parma, che si presentò in studio con un ottimo culatello. «A quel punto glielo feci affettare in diretta», aggiunge.
Ma Garanzini a Lucca è arrivato soprattutto per parlare della storia del calcio attraverso i suoi eroi. Quelli cui è già stato dedicato - se non realmente, almeno metaforicamente - quel minuto di silenzio che sui campi è riservato a coloro che non ci sono più. Nel libro che è già stato definito "La Spoon River del pallone" (del resto è scritto anche sulla copertina), Gigi Garanzini presenta più di centotrenta ritratti folgoranti e sintetici di altrettanti personaggi.
Non è un caso che, essendo in Toscana, Garanzini abbia voluto iniziare con la lettura del racconto dedicato a Bruno Neri, che dopo essere stato giocatore del Livorno, della Fiorentina e della grande Lucchese di Erbstein, be', fu anche partigiano. Nel libro si ricorda quella domenica del 1931 in cui Bruno («che in testa aveva il futuro, oltre che le idee chiare») nel giorno dell'intitolazione dello stadio viola allo squadrista Giovanni Berta fu l'unico giocatore a non tendere il braccio per il saluto romano. A proposito: ad Artemio Franchi - scomparso nel 1983 e a cui oggi, fortunatamente, è dedicalo lo stadio di Firenze - Garanzini dedica una storia scrivendo che «... senza quell'incidente d'auto il successore di João Havelange alla presidenza della Fifa sarebbe stato Artemio Franchi. Non Blatter, con rispetto parlando».
E come non parlare di Franco Scoglio. Il Professore non era toscano. Nato a Lipari, è morto a Genova. In diretta tivù. Però ha allenato la Lucchese all'inizio degli anni novanta del secolo scorso. «La sua fu una profezia. Anzi, un'autoprofezia» dice Garanzini ricordando la frase che il Professore pronunciò parecchio tempo prima di quella sera fatale: "Morirò parlando del Genoa". Poi arriviamo al 2005. Scoglio era ospite di una trasmissione televisiva locale, al telefono c'era Preziosi. «Sì, l'argomento di discussione era proprio il Genoa. Rivolgendosi al presidente disse: "Lei vada per la sua strada, io per la mia". Piegò la testa da una parte e morì».
Garanzini, che ti televisione ne ha fatta parecchia, rimpiange i commenti sobri e non si riconosce in quei «teatrini» il cui primo obiettivo è quello di «sdrammatizzare il gioco del pallone». Se però si parla di calcio giocato, lui preferisce senza ombra di dubbio quello attuale. Del calcio che fu ha nostalgia solo per certi campioni, a cominciare da quelli raccontati nel libro. Anche se sono solo una piccola selezione.
Tra i grandi eroi sportivi scomparsi recentemente c'è anche Emiliano Mondonico. No, lui non c'è nel libro. La sua morte è troppo recente. «Quale potrebbe essere il gesto con cui lo si ricorderà tra dieci anni? La sedia alzata al cielo ad Amsterdam, nella finale di Coppa Uefa, quand'era allenatore del Torino. Se non la scriveremo - aggiunge Garanzini - prima o poi rischieremo di dimenticarci di quell'episodio». Un evento quasi letterario, che sfiora i confini dell'epica. «Gesti di grandezza che, se paragonati alle parole pronunciate da Buffon dopo la partita di Madrid, mi fa pensare che abbiamo un parametro in più per giudicare il livello di degrado raggiunto dal nostro calcio».
Tra le varie narrazioni, Garanzini ha rispolverato l'antico legame con Enzo Bearzot, ricordando inoltre il bicchiere di whisky versatogli da Gianni Brera durante il loro primo incontro (in aereo) e quel primo viaggio a bordo di un pulmino carico di giornalisti (tra i quali, oltre allo stesso Mura, c'erano anche Mario Soldati e Oreste Del Buono) al seguito della nazionale che di lì a breve avrebbe raggiunto l'Argentina.