Attualità/ARTICOLO

Giovani italiani che lavorano a Parigi: prime impressioni dopo gli attentati

Racconto a più voci dei giorni difficili di Parigi, una riflessione corale su uno degli episodi più dolorosi della storia degli ultimi dieci anni

/ Costanza Baldini
Lun 16 Novembre, 2015
Gli U2 davanti al Bataclan

La strage di Parigi di venerdì 13 novembre 2015 è già una pagina di storia, probabilmente una delle più terribili. Cosa differenzia questo attacco da tutti gli altri? I luoghi che sono stati scelti dai terroristi: un teatro dove si tengono concerti, lo stadio, un ristorante, un caffè. Luoghi del lusso, si è detto, della vita benestante, ma soprattutto luoghi frequentati dai giovani. Giovani ai quali come in ogni città del mondo piace divertirsi, trascorrere del tempo magari vedendo una partita della squadra del cuore, andando a cena con gli amici o godendosi un concerto della band preferita.

Non è la prima volta che gli attacchi terroristici colpiscono Parigi o un’altra città europea, tuttavia il colpo al cuore è forse più forte questa volta, perché proprio la musica dovrebbe essere quel linguaggio universale che unisce tutti gli esseri umani in ogni parte del mondo. Gli U2 hanno portato fiori davanti al Bataclan, la pop star Madonna in lacrime durante la tappa svedese del suo tour a Stoccolma ha dedicato un minuto di silenzio alle vittime. Noi vogliamo portarvi le testimonianze di alcuni dei molti giovani italiani che si sono trasferiti a Parigi per lavoro, che hanno scelto la capitale francese come seconda patria dove lavorare, vivere, innamorarsi, essere felici.

Alberto è un ragazzo che fa il ricercatore a Parigi dove vive con la sua compagna che aspetta un bambino, gli chiediamo se questi eventi lo spingeranno a tornare in Italia: “La prima reazione mia e di Marta è stata: andiamo a vivere a Bruxelles? E poi invece si scopre che gli attentati sono stati preparati lì. Il che, in effetti, la rende una città più sicura. Al di là dell'ironia, no, non penso che abbia senso tornare in Italia per una cosa del genere. Preferisco correre il rischio. L'Italia purtroppo non ha molto da offrire, nemmeno queste emozioni. Questo evento cambierà senza dubbio qualcosa a Parigi. Non le mie abitudini; ma al di là della “paura” - un termine abusato, Parigi è una città talmente grande che non sembra cambiato nulla - credo che sarà un'enorme problema per la vita quotidiana: andare in biblioteca, entrare nei musei etc. Più controlli. E molte più immagini “violente”. A dire il vero le cose stanno già così da Gennaio. Ho una scuola ebrea di fianco a casa dove ci sono sempre tre militari armati fino ai denti. Non è tanto bello per i bambini che escono da scuola. La mia speranza vera è che almeno cambino il nome al programma di sicurezza in Francia, che attualmente si chiama Vigipirate: un termine inascoltabile. Ridicolo. Magari per un po' non metterò gli auricolari in metro per capire cosa succede. Ma in due settimane tutto passa. Vorrei solo che i francesi capissero quanto tutto questo ha a che fare con i loro problemi sociali di esclusione.

Tiziana Randò è una ragazza che da qualche anno si è trasferita a Parigi per lavorare per una società di media e brand publishing che si chiama Webedia, uno dei suoi colleghi di lavoro è rimasto ucciso al Bataclan. Come hai vissuto i giorni dall'attentato fino ad oggi? Le chiedo: “Lunedì sono rientrata al lavoro, ho dunque fatto quello che faccio tutte le mattine di un giorno feriale: sono uscita, ho preso la métro, sono venuta al lavoro. Il tutto in un’atmosfera molto silenziosa, a tratti surreale. La stazione dove faccio il cambio tra una linea della métro e l’altra – che è una delle più popolate negli orari di punta – questa mattina era insolitamente deserta e affatto rumorosa. Ecco, d’istinto, ho pianto un po’. Quello che io penso è che gli attentatori sono frutto di una politica globale, di cui siamo tutti responsabili. L’Isis (o Daesh, come preferiscono dire in Francia) è un prodotto che ci riguarda, non va sentito come estraneo. Gli attentatori avrebbero potuto chiamarsi anche Marcél o Tiziana, se nati e cresciuti in certi contesti. Siamo tutti responsabili di quello che è successo qui a Parigi così come di quello che è accaduto a Beirut. Stiamo – ahinoi – raccogliendo i frutti di anni di quello che è stato seminato. Le ragioni profonde sono interessi che poco hanno a che vedere col pretesto della religione. Il livornese Giorgio Caproni (uomo profondamente religioso) disse: “Dio non si è nascosto, Dio si è suicidato”.

Come vedi i prossimi giorni a Parigi, cambierà qualcosa? “Il futuro di Parigi, a breve termine, lo vedo teso, preoccupato, tanto quanto lo era a gennaio. Ma si tornerà alla normalità in men che non si dica. Si è già in quella direzione sono parecchio cocciuti qui. Devo dirti anche che – e non è una cosa che ho notato solo io, ma una constatazione fatta da tutti quelli con cui fino ad ora ho parlato – stamattina non ho visto neppure un poliziotto in giro – roba invece frequente a gennaio – e che, in base alla testimonianza di altri che sono rientrati ieri ad Orly (l’aeroporto a sud di Parigi), i controlli sono stati quelli di sempre, cioè a volte non sono stati controllati neppure i passaporti. Roba che sconvolge qualcuno, forse, ma a me pare più sconvolgente parlare di chiudere le frontiere, come se servisse a qualcosa...

Nico Morabito è un libero professionista nel campo dell'audiovisivo a Parigi “Dopo la prima notte insonne, ho sentito l'impulso e la necessità di uscire subito, ci ha raccontato, non volevo restare chiuso in casa a logorarmi tra paure e falsi allarmi, a tranquillizzare parenti e amici che dall'Italia continuavano a dirmi di stare attento e a non uscire. Soprattutto volevo subito riprendermi la mia città, la mia vita, senza stare troppo a pensarci. Ho incontrato le persone a cui voglio bene, siamo stati assieme, abbiamo parlato di quello che era successo, abbiamo mangiato, bevuto, scherzato. Ne avevamo bisogno. Ovviamente non è stato facile. Per me, e per molti italiani che se ne sono andati, Parigi rappresenta il frutto di una scelta, di una volontà ben precisa. E le ragioni di questa scelta non vengono meno, soprattutto dopo quello che è successo. La città e la vita dei parigini erano già cambiata in parte dopo i fatti di gennaio, ma poi, alla fine ci si abitua a tutto, alle perquisizioni nei centri commerciali o nei musei, alla richiesta di aprire zaini e borse anche quando meno te lo aspetti, agli allarmi "pacchi sospetti" sui mezzi pubblici. Non credo cambierà molto nel quotidiano, cambierà forse qualcosa a livello di accettazione dell'orrore che può entrare da un momento all'altro nelle nostre vite. Gli attentati simultanei dello scorso weekend ci hanno fatto capire una volta per tutte un concetto tanto semplice quanto spaventoso: tutto ciò che la nostra generazione ha sempre dato per scontato adesso, semplicemente, non lo è più."

[it_gallery]