“Oggi celebriamo una giornata importante, che abbiamo atteso troppo tempo, per ricordare una tragedia che solo di recente ha trovato cittadinanza nei libri di storia. Un’occasione da interpretare come la condivisione di un valore”.
Con queste parole il presidente dell’assemblea toscana ha aperto la seduta solenne del Consiglio regionale che si è svolta stamani, a Palazzo Bastogi, in occasione del Giorno del Ricordo istituito con legge dal Parlamento italiano nel 2004 (in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati). “La Toscana – ha detto il presidente – si mette in primo piano per ripristinare la verità e rendere omaggio e onore ai caduti e ai loro familiari”. Di “significato profondo per la nostra coscienza civile” ha parlato Sandro Rogari, storico e ordinario presso l’ateneo fiorentino, che ha ripercorso, in una lunga relazione, le terribili vicende di quegli anni, “la tragedia delle foibe, ma anche quella dell’esodo degli oltre 300mila italiani da Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, sradicati e costretti ad abbandonare tutto ciò che avevano”.
Con l’istituzione del Giorno del Ricordo – ha sottolineato Rogari - è stato riconosciuto un crimine contro l’umanità e nella lettura di quelle terribili pagine di storia che interessarono i territori dell'Istria a partire dall’autunno del 1943, subito dopo l'armistizio, fino al 1947, la storia europea del ‘900 ha toccato uno dei momenti più bui”. E’ poi intervenuto il presidente dell’associazione nazionale Dalmata Guido Cace, che ha regalato ai due presidenti di Consiglio e Giunta regionale le 50 copie del giornale clandestino il “Grido dell’Istria”, uscito tra il luglio 1945 ed il febbraio 1947, ripubblicato in edizione limitata. Cace ha ricordato come la tragedia delle foibe si possa dividere tra un momento “bellico” - quello intercorso tra l’8 settembre e il 2 novembre del 1943 - e quello successivo, avvenuto a guerra finita, nella primavera del 1945.
“Solo a Trieste – ha ricordato – furono infoibate 4500 persone”. Testimonianza di quegli anni l’ha portata Miriam Andreatini, dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia di Firenze, che ha letto alcuni brani dalla sua autobiografia dedicata agli anni passati nel campo profughi Sant’Orsola, in Via Guelfa a Firenze. Ripercorrere la drammatica vicenda degli italiani dei territori del confine orientale, originari dell'Istria, di Fiume o della Dalmazia, vittime o costretti all'esodo nel secondo dopoguerra, è un riconoscimento al dolore ed alle sofferenze di quanti persero la vita o videro tagliate le proprie radici, sradicati dalle proprie case e dal proprio mondo». Così si è espresso invece il presidente della Regione, partecipando alla cerimonia.
«Siamo qui - ha ricordato - per onorare le finalità della legge che, con una decisione pressoché unanime del Parlamento, ha isituito il Giorno del Ricordo. L'aver istituito questa ricorrenza è stato un atto di giustizia che, dopo i molti anni di silenzio sul'intera vicenda, era dovuto alle vittime ed ai loro congiunti, a lungo privati di quel riconoscimento pubblico che è il segno dell'attenzione di tutta la comunità nazionale verso le tragedie del nostro recente passato».
Nel suo intervento il presidente ha sottolineato che «il Giorno del Ricordo sollecita il mondo della scuola e della cultura a diffondere la conoscenza di questo capitolo della nostra storia recente. Anche le istituzioni - ha aggiunto - sono chiamate a dare il loro contributo a quest'opera di risarcimento per una tragedia di cui la comunità nazionale ha tardato a farsi carico».Il governatore ha ricordato poi che «la Regione Toscana considera un valore la "memoria pubblica" dei fatti e delle vicende tragiche del Novecento, nella certezza che è un investimento produttivo dal punto di vista civile e culturale, ma, ancora di più, che la conoscenza del nostro recente passato è un elemento decisivo per la partecipazione alla vita pubblica e per la cre scita della democrazia. Una convinzione tanto più profonda se pensiamo alle nuove generazioni, verso le quali anche le istituzioni hanno il compito di fornire strumenti critici per intepretare la vicenda del nostro Paese e dell'Europa, il terreno reale su cui si gioca oggi il futuro dei nostri giovani».
«Ogni volta che una ricorrenza ci offre l'occasione di ritornare con il pensiero alla storia dell'Europa dello scorso secolo - ha proseguito - possiamo misurare nei fatti tutta la distanza che ci separa da quella stagione di guerre e di stragi. L'Europa della tradizione civile, della cultura universale, del progresso e della scienza, grande laboratorio politico dei diritti, fu travolta in soli venticinque anni da due conflitti mondiali e sperimentò la rovina del proprio patrimonio di valori travolto dalle ideologie di morte e di distruzione. Da questo abisso siamo usciti a fatica ed a caro prezzo - ha detto ancora - e possiamo davvero apprezzare questo lungo periodo di pace e di riconciliazione che ha visto il nostro continente superare odi e rancori e darsi un progetto di struttura sovranazionale che aspira ad una dimensione di "potenza civile" e vuol pagare il proprio ruolo nello scenario internazionale in questa prospettiva».
L'intervento si è concluso con una citazione di Ernst Bloch: «...il lavoro della speranza non è rinunciatario, perché... desidera avere successo. L'effetto dello sperare... allarga gli uomini invece di restringerli... vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando ed a cui essi stessi appartengono».
Al termine della seduta è stato proiettato un video realizzato e curato dall’associazione nazionale Dalmata “Foibe. Martiri dimenticati”.