Enogastronomia/ARTICOLO

Finocchiona, ruspante gusto toscano Anche Machiavelli ne andava ghiotto

Dopo aver ottenuto il marchio IGP, l'antico insaccato toscano vola alla conquista dei mercati esteri, con un obiettivo: rimanere gustosa, genuina e naturale

/ Simona Bellocci
Gio 19 Novembre, 2015

Si dice che i cibi parlino del popolo che li ha inventati e che ci raccontino, tra una nota e l'altra di aromi, sapori e gusto, vizi e virtù di un territorio. E' il caso della finocchiona, il salume toscano che vanta origini medievali, un insaccato dal sapore deciso e carni morbide, amato anche dal letterato fiorentino Niccolò Machiavelli che pare fosse assai ghiotto di questo salume “povero” a base di carni di maiale, intelligentemente e “furbescamente” insaporito con semi di finocchio. E qui, infatti, la finocchiona, ci racconta un po' dell'animo vispo dei fiorentini. I contadini del Quattrocento infatti, sapevano bene che l'utilizzo del finocchio serviva non solo a mascherare il sapore delle carni deteriorate ma anche a celare eventuali difetti del vino che vendevano agli uomini di città. Così anche i rossi più scadenti potevano diventare buoni al palato dopo aver gustato una fetta di finocchiona sul pane. Da qui il termine, molto utilizzato in Toscana, “infinocchiare”, quasi a voler ingannare e imbrogliare. Quel che non imbroglia è invece il sapore inconfondibile di questo prodotto della tradizione enogastronomica delle campagne toscane che vanta anche il marchio IGP, l'Indicazione Geografica Tipica ottenuta lo scorso aprile, una garanzia di qualità e sicurezza, in un periodo storico in cui i prodotti italiani d'eccellenza vengono falsificati e “riprodotti” in varie parti del mondo. Il Consorzio che conta 48 imprese aderenti, nato anch'esso quest'anno, ha proprio l'obiettivo (oltre alle attività di promozione) di vigilare affinché il marchio della finocchiona non venga imitato o usurpato. Un compito decisamente importante se si pensa che produzione e vendita del salume toscano stanno crescendo in maniera esponenziale, rischiando quindi di destare anche l'interesse dei “re del falso”.

Negli ultimi sei mesi infatti sono stati prodotti circa 400 mila kg di finocchiona, per un valore di circa 6 milioni di euro. Adesso l'obiettivo è far crescere l'export anche negli Stati Uniti mentre – ad oggi – il prodotto ha già trovato l'interesse dei buyer tedeschi, francesi, olandesi e belga. La grande scommessa – secondo il direttore del Consorzio Francesco Seghi – è proprio quella di conquistare il mercato americano, oltre a far attestare sempre di più il prodotto sulle tavole dei ristoranti e delle case italiane ed europee e continuare l'ascesa già in atto a Hong Kong e in Australia.

"Riuscire ad aprire un canale commerciale con gli Stati Uniti d'America significherebbe accedere ad un mercato di milioni di persone per tutti i prodotti della nostra salumeria – ha spiegato Seghi - consentendo alle nostre aziende di poter investire in occupazione, macchinari e stabilimenti, garantendo lavoro ed introiti di sicuro beneficio”.

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Così la Finocchiona Igp continua la sua scalata verso i mercati internazionali, forte della qualità che la contraddistingue, adesso tutelata ancor di più dal Consorzio e dal rigido disciplinare di produzione che seguono le aziende aderenti.

“Per produrre la finocchiona sono utilizzati tagli specifici da suini di genealogia italiana – ci spiega ancora Seghi - quindi sono tagli che danno garanzia al consumatore di avere un suino certificato. I tagli sono la spalla riferita al prosciutto, pancetta e pancettone e in alcuni casi anche gola e fondello”.

Anche gli aromi e le spezie seguono però le regole del disciplinare. Gli ingredienti consentiti sono infatti sale, pepe, semi e fiori di finocchio e aglio, ritenuti indispensabili per ottenere il marchio di finocchiona Igp. Proprio il finocchio veniva storicamente utilizzato come spezia al posto del pepe, dal costo troppo alto in epoca medievale, saggiamente sostituito dai fiori di finocchio selvatico presente in grandi quantità nelle colline fiorentine tra Campi Bisenzio e Greve in Chianti che si contendono i natali di questo antico e saporitissimo salume.

Longeve anche le aziende aderenti al consorzio, tra queste c'è la Gerini Salumi di Pontassieve che vanta una tradizione ultracentenaria e che oggi esporta i suoi prodotti in diverse zone d'Europa. “La nostra storia risale al 1700 – racconta Antonella Gerini – il mio antenato Pietro aveva una macelleria nel centro storico, un'attività familiare che è giunta fino a noi”. L'azienda è una delle imprese al femminile dell'agroalimentare toscano, condotta in grande spolvero da due sorelle. “Abbiamo sempre voluto mantenere la nostra tradizione artigiana – ha tenuto a sottolineare la titolare - la scelta delle carni e del prodotto è sempre legata alle vecchie ricette e questa è secondo noi la scelta vincente”.

Quel che è certa è anche la scelta del Consorzio di tutelare l'unicità della finocchiona prodotta in ogni azienda. Fissati infatti gli ingredienti e le parti di carne di maiale da impiegare, ogni artigiano ha una “certa libertà” (nei limiti imposti dal disciplinare) nel dosaggio delle spezie consentite da utilizzare, compresi gli ingredienti facoltativi come vino e zuccheri. Anche la grana della macinatura delle carni è a scelta del produttore anche se solitamente varia dai 4 agli 8 millimetri. Il budello nel quale si insacca la finocchiona può essere invece naturale o sintetico, la stagionatura dipende dal peso del prodotto e prevede un minimo di 15 e un massimo di 45 giorni.

E per non “infinocchiare” nessuno le produzioni IGP del Consorzio della Finocchiona, sono totalmente tracciate in tutta la propria filiera, dall'allevamento al confezionamento del salume. Ogni prodotto ha una numerazione unica che consente al consumatore, su richiesta, di conoscere tutto del finocchiona che porterà sulla propria tavola. Infine, una curiosità. Le muffe biancastre e verdastre che troviamo sulla buccia di questo insaccato sono sinonimo di qualità e di una buona stagionatura, avvenuta nella cosiddetta “cantina” delle aziende produttrici. Antonella Gerini ci ha mostrato orgogliosa, nel suo stabilimento di Pontassieve, le vistose muffe che affioravano da centinaia di finocchione con tanto di marchio IGP o meno, lasciate a candire, in attesa di aver trovato la giusta stagionatura. “Peccato che agli americani non piacciano per niente – ci confessa. Dobbiamo ripulirle con olio d'oliva, prima di spedirle negli Stati Uniti, così acquistano un aspetto brillante”. 

Che dire, senza la muffa che finocchiona è? Sarebbe un po' come lucidare la buccia del pecorino, togliere il pepe dal prosciutto toscano o edulcorare l'amaro del caffè con quintali di zucchero. Ma il cliente ha sempre ragione, sopratutto se sulla bandiera del compratore campeggiano brillanti stelle e strisce. Mai voltare le spalle alle leggi e alle richieste del mercato. Noi però non rinunciamo alle muffe, alla fine la buccia si toglie. E preferiamo i prodotti che ci raccontano qualcosa dei luoghi che li hanno accolti, prima di finire nei nostri piatti o in mezzo a due fette di pane sciocco. Meglio una muffa in più che una in meno. Le cose belle alla fine non hanno bisogno di trucco. E la finocchiona è bella e buona così com'è, naturale, come appena uscita di cantina.  

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