A palazzo del Pegaso a Firenze, sede del consiglio regionale, sarà visibile e in mostra fino al 28 febbraio, il codice leopoldino nella sua versione originale datata 1786. Di fatto, il fascicolo con la stesura manoscritta definitiva del testo della riforma voluta fortemente dal Granduca. Negli ultimi dieci anni il codice leopoldino è stato esposto solo due volte nel capoluogo toscano.
“E’ la prima volta - ha detto il presidente del Consiglio regionale, Eugenio Giani– che il codice leopoldino entra a palazzo del Pegaso, nel nostro spazio museale”. “Si tratta – ha aggiunto – del documento originale con cui Pietro Leopoldo nel 1786 sancisce l’abrogazione della pena di morte”.
Così il presidente ha dato inizio alla mattinata di eventi nel palazzo del Pegaso, dove sono in corso le manifestazioni conclusive dell’edizione 2016 della Festa della Toscana. Negli ultimi dieci anni il codice leopoldino è stato esposto soltanto a Firenze e soltanto altre due volte: nel 2014, alla Galleria Palatina di palazzo Pitti e nel 2016 all’Archivio di Stato per la mostra “Correggere e prevenire. La politica riformatrice di Pietro Leopoldo e la casa di correzione nella Fortezza da Basso di Firenze”. Si tratta come ha ricordato Giani di un atto esemplare che rigetta la violenza e che condizionerà gli ordinamenti giudiziari di molti altri Stati del mondo, imponendo un’altra idea di giustizia.
Il fascicolo esposto - estratto dalle buste d’archivio dove si conservano anche tutti gli atti preparatori, le minute corrette e rielaborate della legge, le statistiche criminali, gli studi e le osservazioni, i testi giuridici italiani e stranieri studiati (principale Beccaria) - è quello con la stesura manoscritta definitiva del testo della riforma, che poi fu stampato da Gaetano Cambiagi.
Questa legge tra il 1787 e il 1790 ebbe più di 10 edizioni e fu tradotta in francese, tedesco, inglese e latino, diventando famosissima. I lavori di preparazione della riforma durarono dal 1782 al 1786, e Pietro Leopoldo la elaborò in prima persona e con la stretta collaborazione dei consiglieri Tosi, Caciotti, Giusti, Cercignani.
Si tratta della legge più celebre mai emanata in Italia, della più famosa nell’Europa del ‘700 e della riforma più importante di Pietro Leopoldo. Introdusse concetti di giustizia penale del tutto innovativi e progressisti, frutto e obiettivo più alti del pensiero illuminista: abolizione della tortura, della pena di morte, del reato di lesa maestà, accelerazione dell’iter processuale, indennizzo per le persone ingiustamente processate.
Nell’articolo 51 si afferma che la pena capitale toglie la “possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto” e che una “diversa legislazione” più si conviene “alla maggior dolcezza e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel Popolo Toscano”. Inoltre, essa stabilisce processi basati su procedure chiare e controllabili per giudicare l’imputato in tempi brevi e secondo prove certe, e inserisce la figura del difensore d’ufficio per coloro che non possono permettersi un avvocato. Abolisce la tortura giudiziaria e l’equiparazione della contumacia alla confessione, concedendo la libertà provvisoria agli accusati. Abolisce inoltre il delitto di lesa maestà.
Il manoscritto rimarrà in mostra nella sala Capponi fino a martedì 28 febbraio.