Salute/ARTICOLO

Distrofia muscolare, la risposta arriva da Firenze

Uno studio finanziato da Telethon scopre un meccanismo per salvare i muscoli dalla fibrosi

/ Redazione
Mar 10 Dicembre, 2013
La lotta alla distrofia muscolare di Duchenne, grave malattia genetica dei muscoli, segna un punto importante. Una nuova ipotesi per arrestare la degenerazione dei muscoli arriva da un gruppo di ricercatori dell’ateneo fiorentino, pubblicato sulla rivista Molecular Biology of the Cell (F. Cencetti, C. Bernacchioni, P. Nincheri, C. Donati, P. Bruni, “Transforming growth factor-β1 induces transdifferentiation of myoblasts into myofibroblasts via up-regulation of sphingosine kinase-1/S1P3 axis”).

In condizioni normali, quando un muscolo subisce un danno viene riparato da particolari cellule di origine staminale, chiamate mioblasti: grazie a una vera e propria cascata di segnali chimici, i mioblasti vengono richiamati nella sede del danno e indotti a proliferare e a dare origine a nuove fibre muscolari.

In condizioni patologiche, però, queste cellule staminali non producono nuovo tessuto muscolare, ma tessuto fibroso: di fatto, è come se i muscoli si riempissero di cicatrici, diventando sempre più rigidi, incapaci di contrarsi e di compiere la loro normale funzione. La sostituzione di tessuto muscolare con tessuto fibrotico (fibrosi) è un fenomeno caratteristico non solo della distrofia di Duchenne, ma più in generale di tutte le malattie degenerative del muscolo scheletrico.
 
Il gruppo di ricerca, guidato da Paola Bruni, ordinario di Biochimica alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali e finanziato da Telethon, ha dimostrato per la prima volta il meccanismo con cui i mioblasti possano essere “dirottati” verso la fibrosi invece che verso la formazione di nuovo tessuto muscolare.

Il meccanismo consiste nell’aumento della produzione di una speciale molecola, chiamata sfingosina 1-fosfato, che ha la particolarità di avere un effetto diverso sulle cellule a seconda di chi la riceve. Esistono infatti diversi recettori per la sfingosina 1-fosfato, localizzati sulla superficie delle cellule e capaci di mandare segnali ben precisi una volta che questa sostanza si lega a loro. Per esempio, quando la sfingosina 1-fosfato si lega al suo recettore S1P2, manda ai mioblasti il segnale di trasformarsi in muscolo, quando invece si lega al recettore S1P3 li indirizza a differenziarsi in tessuto fibroso. E nell’insorgenza della fibrosi l’aumentata produzione di sfingosina 1-fosfato si accompagna proprio all’incremento del recettore S1P3.
 
L’idea dei ricercatori fiorentini è quindi quella di bloccare con dei farmaci il recettore S1P3
, in modo da arrestare la produzione di tessuto fibroso che si osserva progressivamente nei pazienti distrofici o affetti da altre malattie degenerative dei muscoli: pur non curando la malattia si potrebbe comunque rallentarne la progressione e migliorare la qualità della vita di queste persone. Prossimo obiettivo è dunque verificare in vivo se il blocco selettivo del recettore S1P3 possa effettivamente arrestare la degenerazione dei muscoli.
 
Al momento non esiste una terapia risolutiva per la distrofia muscolare. La qualità di vita dei pazienti può notevolmente migliorare con trattamenti sintomatici e pluridisciplinari (fisioterapia, valutazione della funzionalità cardiaca e respiratoria ecc.) che gestiscano i vari aspetti della malattia: motorio, respiratorio e cardiaco.

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