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Datacrazia: più consapevolezza e dialogo per una Rete migliore

Esperti a confronto nel convegno a Internet Festival: bisogna condividere con più attenzione i nostri dati sulle piattaforme e tornare a parlare davvero con gli altri per smontare le fake news

/ Ilaria Giannini
Ven 12 Ottobre, 2018

Dal pericolo insito nello sfruttamento dei big data alla diffusione incontrollata delle fake news, dall'informazione populista che ha condotto alla Brexit ai cosiddetti effetti di rete, che modificano la nostra percezione della realtà e quindi le nostre decisioni. Sono stati questi i temi caldi al centro di Datacrazia, il convegno a Internet Festival che ha messo a confronto esperti del Web e della comunicazione digitale.

Le grandi masse di dati che tutti noi produciamo in modo continuo in Rete sono una delle merci attualmente più preziose, non solo per sviluppare business mirati ma anche come una forma di potere politico, per influenzare gli elettori. Eppure i big data possono essere utilizzati anche in maniera positiva dalle amministrazioni pubbliche e dalla politica, che possono così capire e rispondere alle esigenze dei cittadini. 
"Pensavamo che Internet avrebbe migliorato la democrazia, mettendo più conoscenza a disposizione di tutti ma ci sbagliavamo - ha spiegato l'esperto e docente di comunicazione politica all'Università di Bari, Dino Anendumi - dopo lo scandalo di Cambridge Analytica ora siamo più critici, possiamo utilizzare le piattaforme con più consapevolezza ma non basta, deve cambiare qualcosa, io credo che emergerà un sistema migliore di Facebook, che sarà più conveniente per gli utenti anche in termini di raccolta di dati personali e costringerà tutti ad adeguarsi."
Anche Vesselin Popov, direttore dello Psychometrics Centre dell’Università di Cambridge che studia i comportamenti online, ha puntato il dito sull'importanza come singoli di conoscere i dati che condividiamo, perché possono rivelare molto di noi, dalle nostre preferenze nello shopping alle scelte elettorali.

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Il proliferare invece del fenomeno delle fake news deriva dal fatto che l'essere umano non prende decisioni razionali, ma basandosi sulle proprie emozioni, come ha spiegato Walter Quattrociocchi, ricercatore dell'Università di Venezia Ca' Foscari.
Gli utenti condividono notizie non vere o comunque non verificabili perché aderiscono alla loro visione del mondo: il nodo focale è la confermation bias,
ovvero il pregiudizio di conferma che ci porta a cercare solo informazioni coerenti con la nostra idea di partenza.
"Tendiamo a creare echo chambers, ovvero gruppi dove tutti hanno la stessa idea, acquisiscono le stesse informazioni che la confermano e ignorano quelle che la contrastano - spiega Quattrociocchi - il fact checking e il debunking sono una soluzione? Non tanto, ad esempio gli utenti che condividono notizie complottiste non leggono neanche gli articoli che smontano le bufale. Bisogna tornare a comunicare, a parlare con gli altri non per convincerli ma per avviare un dialogo vero, in cui tenere aperta anche la possibilità che siano gli altri ad avere ragione e non noi. Solo così si può creare un contesto informativo che abbassi la polarizzazione sull'argomento e renda possibile ascoltarci a vicenda."