Made in Toscana/ARTICOLO

Consorzio 100% italiano

70 produttori contro i "falsi"

/ Costanza Baldini
Mar 10 Dicembre, 2013
Gucci borsa
Il tema del Made in Italy, che sull’onda della crisi e della concorrenza delle economie emergenti da mesi infiamma il dibattito sul futuro delle nostre imprese, è basato su un fondamentale equivoco: cosa può dirsi realmente “fabbricato in Italia”? E’ stato un servizio di Milena Gabanelli, direttrice di Report che ha “scoperchiato la pentola” della pelletteria di lusso aprendo due anni fa un dibattito di non facile composizione.

“Abbiamo permesso che il made in Italy, una cosa che ha un valore enorme nel mondo fosse stato ‘rosicchiato’ a partire dal peggio del peggio e cioè falsi che hanno visto la nascita del lavoro del ‘metti etichetta' ”. ha dichiarato Andrea Calistri presidente del Consorzio 100% Italiano, che è stato fondato nel 1997 e raccoglie un gruppo di 70 produttori italiani del settore 30% moda, 60% pelletteria di lusso, 3% settore casa ed enogastronomia.
Furono alcuni pellettieri che nel ’97 l’anno in cui iniziò il massiccio decentramento produttivo all’estero decisero di rimanere a lavorare in Toscana e di essere competitivi usando altri fattori rispetto a quello del prezzo. Un gruppo di imprese che fabbricano in Italia alle regole del gioco, secondo cioè la legge italiana, ridando valore e tutela alle mani di chi lavora.
“C’è un gran bisognio di smuovere la legislatura a livello nazionale e a livello europeo. - ha aggiunto Calistri - Se c’è un vuoto legislativo, allora l’imprenditore deve andare oltre la legge e auto-tutelarsi per valorizzare i propri prodotti. Il consorzio metterà paletti sempre più stretti, è pronto un nuovo disciplinare per la filiera produttiva che si applicherà anche ai terzisti e ai quartisti”

Le aziende che hanno aderito al consorzio danno lavoro, tra dipendenti e indotto, a circa 3000 persone, con 230 milioni di euro di fatturato. Il loro principale impegno è la diffusione, la promozione e la salvaguardia dell’artigianato “made in Italy” più qualificato, quello realizzato cioè unicamente in Italia. Il consorzio è l'unico marchio esistente nel paese che certifica, a monte del prodotto, una filiera produttiva al 100% nazionale e il primo nel mondo che ha ricevuto la SA8000 cioè la certificazione di responsabilità sociale d’impresa.
Gli imprenditori appartenenti al Consorzio, esattamente come chi acquista i loro prodotti, sanno bene che esiste una linea netta che divide il vero dal falso, il corretto dallo scorretto, la qualità dalla non qualità. E gli piace pensare che, alla fine, sarà la trasparenza nell’operare, unita alla cultura, all’estro creativo e alla raffinatezza italiana, il miglior strumento di affermazione della loro produzione.

Nessun compromesso, nessuna ambiguità. E’ questo il messaggio lanciato dal Consorzio Centopercento Italiano mentre annuncia la sua strategia 2010 a difesa del Made in Italy. Una strategia intransigente, basata su
cinque pilastri.

1-Lotta alla contraffazione. E’ la prima e più immediata esigenza. Combattere la contraffazione consente di arginare la concorrenza illegale e lanciare ai contraffattori un messaggio preciso: esistono delle leggi che vengono fatte rispettare, senza eccezioni né adattamenti.

2-Tracciabilità del prodotto. E’ il postulato di ogni seria lotta alla contraffazione. Rendere “tracciabile” il Made in Italy consente di ricostruire a ritroso tutta la “storia” dell’oggetto attraverso le tappe della filiera produttiva: dalla materia prima ai canali della distribuzione. Solo la capillarità dà reale efficacia ai controlli. Il consorzio intende mettere a punto in collaborazione con l’Università di Pisa un micro chip che permetta in ogni momento della vita del prodotto di verificare la sua provenienza e le tappe della sua fabbricazione.

3-Esaltazione della “cultura” legata al prodotto.
E’ il passo successivo e superiore alla propaganda: diffondere presso il consumatore, e in generale presso l’opinione pubblica, la consapevolezza del valore intrinseco del prodotto che acquista, valore dato non solo dalla sua utilità diretta e dal marchio, ma dalla storia, la capacità, la tradizione di chi lo realizza e che ne giustifica, attraverso la qualità, il costo.

4-Convergenza delle azioni di tutela.
Per produrre il massimo degli effetti per efficacia e durata, occorre che le azioni di difesa e valorizzazione del Made in Italy siano coordinate e convergenti, facciano parte cioè di una medesima strategia.

5-Rimodulazione del distretto industriale. Occorre progettare una nuova ingegneria di rete produttiva che riesca a massimizzare il sapere diffuso sul territorio e metterlo a sistema tra le imprese, generando un ciclo virtuoso di miglioramento e aumentando così la capacità della rete stessa di stare sui mercati mondiali. Un sistema di interrelazioni tra imprese che azzeri le differenze dimensionali ed abbia contemporaneamente funzione di ‘ottimizzatore’ di rete produttiva da una parte e ‘incubatore’ di nuove idee e nuove proposte aziendali dall’altra. Ricerca, innovazione tecnologica, formazione, rete produttiva che confluiscano in una rigenerazione del mercato in modo che il territorio torni ad essere un incubatore di imprese. Ricreare il Know How, inventare un nuovo prodotto per un mercato che da troppo tempo ormai non vede nuovi marchi.

“Noi italiani siamo molto bravi a distruggere quello che abbiamoconclude amaramente Andrea Calistridalla trasmissione della Gabanelli di due anni fa la situazione è anche peggiorata, dopo una prima frenata, i grandi nomi che violavano deliberatamente la legge continuano a farlo indisturbati. Vedremo tra 15 anni i risultati di un mercato che è scoppiato e che deve adesso ripartire da zero”

Per informazioni:
http://www.i-place.it/

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