Cultura/ARTICOLO

Biennale di Venezia 54. Esposizione Internazionale d’Arte

Reportage a pochi giorni dall'inaugurazione della più importante manifestazione dedicata all'arte contemporanea in Italia

/ Costanza Baldini
Mar 10 Dicembre, 2013
USA, “Glory”
“ILLUMInazioni” questo il titolo scelto dalla curatrice Bice Curiger. Due i temi da lei stessa dichiarati come portanti da una parte proprio la luce e la volontà di “illuminare” i visitatori caso curioso per una delle Biennali più ermetiche e incomprensibili che io ricordi. Dall’altra parte il tema dell’identità e dell’appartenenza a una nazione. Quattro le domande che la curatrice ha posto agli artisti: 1.la comunità artistica è una nazione? 2.quante nazioni ci sono dentro di lei? 3.dove si sente a casa? 4.che lingua parlerà il futuro? 5.se l’arte fosse uno stato, cosa direbbe la sua costituzione? Queste le premesse.

GIARDINI
Cominciamo e cominciamo male, nel senso che se dovessi definire lo spazio dei Giardini potrei usare quattro parole: Povertà di materiali usati ma anche di idee, la puzza del “già visto” aleggia su gran parte delle opere, si vedono addirittura casi di op art, pop art, arte povera (frequentissimi riferimenti a Kounellis) insomma tutte cose che se io fossi la curatrice non vorrei MAI vedere alla mia Biennale neanche per scherzo. Tristezza, un senso indefinibile di cupezza e depressione avvolge tutto. Di solito si va alla Biennale di buon umore e si esce di umore ancor migliore, con questo non voglio dire che la Biennale deve essere un luogo dove si va solo per divertirsi (ma perchè no?), dico solo che mai mi era capitato di uscire dai Giardini a testa bassa, in un silenzo imbarazzato, senza sapere neanche cosa dire e chiedendomi il perchè di così tanta pochezza. Incomprensione, mai come quest’anno gli artisti si sono chiusi in se stessi, le opere risultano illeggibili e i visitatori sono lasciati soli e sgomenti senza un briciolo di aiuto nel decifrare quello che scorre davanti ai loro occhi. Forse manca anche la voglia di applicarsi davanti a brutti quadri, brutti oggetti, installazioni sciatte e apparentemente prive di significato. Il rumore un’altra costante ai Giardini, un rumore fastidioso, che disturba, come una televisione rotta o una radio che ha perso la frequenza, ricorerrà in molte installazioni.
Ci si chiede dunque quale sia la causa del “crollo silenzioso” di un’istituzione come quella della Biennale che ha fatto la storia dell’arte contemporanea mondiale. Sicuramente la crisi è arrivata anche qua, un probabile taglio di fondi si è fatto sentire. Ma non può essere solo questo e d’altra parte la curatrice non è direttamente responsabile della scelta dei padiglioni nazionali. C’è uno scoramento generale tangibile che va analizzato.

Dopo questa mesta introduzione, (mi dispiace ma proprio non potevo evitarla) andiamo a vedere quali sono i padiglioni che mi hanno positivamente colpita. Grande forfait quest’anno delle nazioni che avevano attirato più sguardi negli anni passati: Olanda, Australia, Canada per esempio, ma andiamo per ordine.

Appena arrivata vengo attirata dal rumore del cingolato che sicuramente tutti avrete visto nel Tg3. Il padiglione degli STATI UNITI infatti ospita uno dei lavori sicuramente più interessanti “Gloria” di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla. I corpi di giovani atleti vengono messi a confronto con moderne tecnologie. In “Trak and Field” una ragazza corre su un carro armato rovesciato come se fosse ad allenarsi in palestra (una possibile citazione da Toy Story?), in “Body in Flight (Delta)” una giovane e bellissima ginnasta esegue leggere evoluzioni su una sedia della Delta Airlines. Nell’ultima stanza si trova un grande organo che custodisce una postazione uso bancomat. Confronti stridenti sul filo dell’ironia che fanno riflettere sulle contraddizioni della società americana contemporanea.

Il padiglione della GERMANIA premiato con il Leone d’oro per la miglior partecipazione nazionale porta l’opera di Christoph Schlingensief “A Church of Fear vs. The Alien Within”. Una complessa e angosciante installazione in cui l’artista ha ricostruito una chiesa con video, quadri e testi volti a simboleggiare il cancro interno che lo avrebbe poi portato alla morte. Disturbante, blasfemo, potente.

La FRANCIA
schiera uno dei suoi cavalli migliori Boltanski che con “Chance” presenta bobine di ritratti di neonati che scorrono in una complessa struttura metallica chiamata “La ruota della fortuna”. Nell’installazione “Essere di nuovo” le immagini scorrono anche su uno schermo insieme a immagini di morti. Se schiacci il pulsante si creano mostruosi ritratti combinazione di vivi/morti. B. sicuramente uno dei più grandi artisti viventi resta affascinato ancora una volta dal tema del caso. C’erano anche delle sedie parlanti, se ti ci sedevi sopra una voce declamava: “E’ l’ultima volta?”. Oltre a fare i consueti gesti scaramantici stringiamo la mano a B. per il suo impeccabile sense of humor.

Il GIAPPONE mette in campo l’installazione multimediale di TABAIMO che con “Teleco – soup” immerge il visitatore in una zuppa “invertita” di immagini, un’animazione surreale disegnata a mano. L’opera indaga il fenomeno denominato “Sindrome Galapagos” che descrive l’incompatibilità tra la società giapponese e il resto del mondo.

La RUSSIA un padiglione che negli ultimi anni abbiamo imparato ad amare per l’assoluta originalità delle sue proposte quest’anno fa un salto nel passato. Sono presentate le azioni del “Collective Actions Group” fondato nel 1976 da Andrei Monastyrski. Essenzialmente si tratta di un gruppo di simpatici pazzi che andavano in mezzo alla campagna russa a mettere dei palloncini, degli striscioni, tiravano dei fili, ecc. “Empty zones” esprime il concetto che la vita stessa è un’unica opera d’arte. Tanto per capirsi una sorta di Fluxus alla russa. Quando li guardo nelle foto in mezzo alla neve con -20 gradi che stringono in mano dei quadratini colorati tutti sorridenti mi rendo conto che loro ci credevano davvero che con la loro arte avrebbero cambiato il mondo e io li rispetto per questo e li ammiro.

Il CANADA presenta Steven Shearer che realizza due tipologie di opere. Da una parte i “Poems” giganteschi murales in bianco e nero con parole blasfeme tratte dalle canzoni della musica black e death metal. A me hanno ricordato il “Fitter, happier, more productive” dei Radiohead. Dall’altra parte quadri e disegni talmente brutti che neanche voglio parlarne.

L’AUSTRALIA non si mette certo in luce con Hany Armanious che lavora sul tema del “calco” riproducendo oggetti di uso quotidiano. Una roba che se Duchamp fosse ancora vivo lo denuncerebbe per plagio. Per essere ancora più chiara se io queste cose le avessi incrociate fuori dalla Biennale non le avrei neanche prese in considerazione.

L’URUGUAY presenta “A Common Ground” il lavoro di due artisti Alejandro Cesarco e Magela Ferrero che si confrontano in un video su cosa vuol dire essere artisti uruguayani oggi. Video davvero molto ben fatto e anche coerente (per una volta) col tema generale.

Anche la POLONIA presenta tre installazioni video di Yael Bartana “…and Europe will be stunned” che raccontano l’attività del Movimento per il rinascimento ebraico in Polonia. Un gruppo politico creato dall’artista che si pone l’obiettivo di far ritornare oltre tre milioni di ebrei nella terra dei loro padri.

Nel padiglione della GRAN BRETAGNA Mike Nelson ha ricostruito un dedalo claustrofobico di corridoi che sfociano in una stanza satura di luce rossa. Una grande installazione che comunica un senso di disagio e oppressione.

Nel padiglione della COREA finalmente un po’ di colore. La cosa più interessante sono le grandi foto che ritraggono gli “Angel soldier” di Lee Yongbaek militari con uniformi a fiori perfettamente mimetizzati in altrettanti fiori colorati.

La DANIMARCA presenta numerose opere di diversi artisti sul tema della libertà di parola, la cosa migliore è un video con un personaggio a tre teste che fa inquietanti affermazioni (“Freedom is just chaos with better light”).

Un altro padiglione da non scartare è il VENEZUELA con i grandi disegni di Francisco Bassim a metà tra la pop art e la lowbrow art.

L’EGITTO presenta un video dell’artista multimediale Ahmed Basiouny “30 Days of Running in the Place”. Su cinque schermi sono proiettate anche le riprese delle dimostrazioni tenute al Il Cairo nel gennaio 2011 durante le quali l’artista è stato assassinato.

Non male l’AUSTRIA che propone un labirinto con quadri in stitle Banksy e due video che mostrano personaggi ben vestiti in azioni ripetitive senza senso. Anche se niente di nuovo in effetti.

Nel Padiglione Venezia l’inutile e costosissima installazione di Fabrizio Plessi sponsorizzata da Yves Saint Laurent.

PADIGLIONE CENTRALE
Togliamoci subito il dente, in una grande sala proprio al centro dove due anni fa si trovava la ragnatela di Thomas Saraceno quest’anno sono stati collocati alcuni quadri del noto pittore veneziano Tintoretto. Chiediamoci: che senso ha mettere dei quadri del ’500 al centro della Biennale dell’Arte Contemporanea? E’ semplice NESSUNO. La curatice ha dichiarato di aver scelto Tintoretto perchè è stato definito il “pittore della luce”, a me sembra solo una grande marchetta alla Regione Veneto e nient’altro.

All’entrata Philippe Parreno ci accoglie con delle lucette che si accendono e che si spengono, quanta verve. Josh Smith ha sverniciato in blu “Illuminations” sulla facciata, wow siamo colpiti.

Nathaniel Mellors oltre all’aver realizzato le famose teste parlanti che tanto sono piaciute al Tg3 presenta due video divertentissimi (gustateveli con calma non ce ne saranno altri così) che narrano le vicende di un bislacco cast inglese. Una sorta di “Lynch da tinello” (Mosche schiacciate! Mosche schiacciate! Mosche schiacciate!), davvero ben girati e pieni del proverbiale humor.

In ogni Biennale che si rispetti non manca mai la stanza dove il pubblico può contribuire creativamente, un anno c’era il muro di polistirolo, un altro c’erano i post it. Quest’anno è toccato al pongo! Il collettivo Norma Jane con “Who’s afraid of Free Expression?” propone i tre colori della bandiera egiziana (bianco, nero e rosso) con cui potrete sbizzarrirvi a creare tutto quello che volete. Tirate fuori il fanciullino pascoliano che è in voi.

David Goldblatt propone un bel progetto fotografico. Dopo essere stato vittima di un’aggressione l’artista ha deciso di fotografare proprio gli autori di crimini simili. Ne emergono una serie di ritratti in bianco e nero davvero toccanti e profondi.

Llyn Foulkes porta quattro dipinti di cui uno “Mr President” propone la sovrapposizione di Topolino al ritratto di George Washington. (Pop Art nel 2011? Maddai).

Bello il lavoro di Jack Goldstein fuochi e luci che esplodono nella notte. Immagini tratte dai media trasformate in potenti catalizzatori di energia.

Pipilotti Rist una bravissima videoartista propone tre video con tre vedute di Venezia a cui sono sovrapposte altre immagini. Nulla di particolarmente sconvolgente per un’artista che in altre occasioni mi faceva rizzare i capelli in testa. Cindy Sherman ha una stanza tutta per se per mostrare i suoi ormai visti e rivisti travestimenti (sbadiglio) e tuto va avanti tra un boh e un mah.

Un’installazione di cui si è molto parlato è “Others” i famosi piccioni di Cattelan distribuiti in mille esemplari. Direi che è davvero il simbolo perfetto di quello che troverete ai Giardini: 1.E’ un’opera vecchia, Cattelan la presentò proprio alla Biennale nel 1997 aveva però un altro titolo “Tourists” ( apro un parentesi e mi chiedo: cioè si può fare? Si può ripresentare alla Biennale un’opera già proposta cambiandole solo il titolo? A me sembra una cosa ASSURDA, non so voi cosa ne pensate) 2.E’ triste, squallida, grigia proprio come quasi tutto il resto. 3.Se per caso vi chiedete quale può essere il recondito significato, il messaggio che l’artista voleva lanciare, la giusta interpretazione del simbolo piccionesco sappiate che NON C’E’. I piccioni di Cattelan non sono altro che questo: piccioni. Un’immagine messa lì per infastidirvi. L’unica cosa che potete chiedervi è se siano meglio quelli finti o quelli veri che ogni tanto riescono a introdursi nei padiglioni (giuro che li ho visti). Meglio una cacca di piccione vera o una cacca di piccione finta? Chissà cosa ne pensarebbero Piero Manzoni e Platone.

Cattelan è presente anche con un’altra “opera” nel Padiglione Italia all’Arsenale, la dichiarazione firmata del suo ritiro dal mondo dell’arte contemporanea. Non so perchè ma ho come la sensazione che sentiremo ancora parlare di lui.

Buno Jakob
merita un discorso a parte. Questo artista ha realizzato due installazioni una qui e una all’Arsenale. Si tratta di “dipinti invisibili” realizzati col vapore. Ovviamente io non li ho visti, mi accorgo di lui sono perchè leggo la descrizione nella guida che ho comprato e che dice: “lo spettatore deve contribuire al processo di creazione e credere che uno spazio non riempito non è uno spazio vuoto”. Ora questa cosa è talmente folle che mi piace. Se passate dalla Biennale non dimenticatevi di (non) vedere i dipinti di Jacob, potrete immaginarli un po’ come volete voi, è questo il bello.

ARSENALE
All’Arsenale per fortuna si torna a respirare e a ritrovare la Biennale che conosciamo e che ci piace tanto. Quella delle grandi installazioni, delle opere che davvero ci toccano il cuore e di quelle che magari sono brutte o improbabili ma ci strappano un sorriso.

Si inizia con il “para padiglione” di Song Dong. Quante ne ho viste di cose così negli ultimi dieci anni? Tante, tuttavia la costruzione spaziale-architettonica di Dong non mi dispiace. Gli altri para-padiglioni che incontrerò non mi faranno lo stesso effetto. Segue il video di Roman Ondàk che ricostruisce la capsula che salvò la vita ai minatori del Cile.

Bella la serie fotografica “File room” di Dayanita Sing che ritrae archivi e magazzini.

Poco più in là finalmente il “mostro” di Nicholas Hlobo. Una Biennale non è una Biennale e non ha il suo bel mostro e questo ha uno stile alla “Studio Gibli” che non mi dispiace per niente. Si tratta di “Limpundulu Zonke Ziyandilandela” la ricostruzione dell’uccello vampiro del mito sudafricano.

Più avanti il video “Night and fog” di Dani Gal. Attenzione bollino rosso! Questa è una delle cose più belle all’Arsenale. Un video abbastanza lungo (20 minuti circa) che racconta l’operazione top secret di dispersione delle ceneri in mare del criminale nazista Adolf Eichmann effettuata in seguito alla sua esecuzione per crimini di guerra. La storia è raccontata in prima persona da uno dei poliziotti e si basa sull’intervista a Michael Goldman che partecipò all’operazione. Stupendamente girato con straordinari attori. Fermatevi a guadarlo tutto.

Segue “The Ganzfeld Piece” l’installazione di James Turrel. Io ho fatto un’ora di coda esatta per entrare. Si entra tre alla volta per un massimo di cinque minuti. In effetti vale la pena.

Subito dopo l’adorabile lavoro di Gerard Byrne che ha realizzato uno studio approfondito e fotografico sul lago di Loch Ness.

Segue Shahryar Nashat con un divertente (e breve) video “Factor Green”.

Segnalo anche il delizioso video “Ghost” di Elad Lassry. In mezzo a danzatori in tute colorate si insinua uno spettro in bianco e nero. Evocativo.

Ryan Gander
poggia per terra elementi scomposti di un quadro di Mondrian, ma se non mi sbaglio non c’era già un sito web che faceva altrettanto?

Urs Fischer porta un’altra grande installazione. Il ratto delle Sabine di Giambologna trasformato in una grande candela accesa che si consuma poco a poco.

Segue il grande dipinto di Corinne Wasmut, “mondi a cavallo tra realtà e finzione” dice la guida. (?)

E FINALMENTE si arriva a Christian Marclay Leone d’oro per il miglior artista. E lo è davvero “The clock” è sicuramente la cosa più bella che ho visto quest’anno. Si tratta di un video della durata di 24 ore. Ogni inquadratura mostra il frammento di un film dove si vede un orologio o si dice che ora è. C’è un diverso momento filmico per ogni minuto. Ogni inquadratura coincide con l’ora reale. Un montaggio stupendo per una quantità di film inimmaginabile. Mi piacerebbe davvero vedere un dietro le quinte di questo lavoro, capire quanto tempo e quante persone sono state necessarie per realizzare quest’opera di cui purtroppo potremo vedere solo una piccola parte. Tra l’altro grandi e morbidissimi divani bianchi consentono una visione riposata.

Klara Lidén
porta un’installazione di cestini per l’immondizia raccolti dalle strade di diverse città del mondo. Klara chi ti ha raccomandato?

Seguono le restanti partecipazioni nazionali.

L’ARABIA SAUDITA mette in campo The Black Arch
che sembra lo speculare al negativo della storica navicella di Makiko Mori (Wave UFO, 2005). Ma non così bella.

L’ARGENTINA propone una mega installazione rocciosa di Adriàn Villar Rojas che personalmente mi ha tanto ricordato quei mondi assurdi dove ogni tanto si svolgono le storie del Capitano Kirk e l’Enterprise nelle vecchie puntate di Star Trek.

La TURCHIA presenta “Plan B” un macchinario pieno di tubi colorati che serve per purificare l’acqua marina. “Un gesto vano e coraggioso in rapporto all’enorme dimensione del mare”.

L’Istituto Italo-Latino Americano ha una grande sala con molti video. Uno in particolare mi ha colpita, si tratta di “Estructura completa” di David Pérez Karmadavis in cui un cieco porta in braccio una donna priva di gambe.

Dirigendosi verso le corderie ci si imbatte in “The Geppetto Experience” di Loris Gréaud. Una povera piccola balena miseramente accasciata per terra (più o meno come mi sento anchio dopo due giorni di Biennale).

Ed eccoci al PADIGLIONE ITALIA con l’esposizione “L’arte non è cosa nostra” a cura di Vittorio Sgarbi. Il gioco è questo: il curatore ha chiesto a 200 intellettuali italiani di indicare un artista secondo loro significativo per rappresentare la nazione. Che dire. Un ammasso confuso di roba. Sembra di entrare nella bottega del rigattiere o peggio sembra di vedere una di quelle televendite in cui cercano di appiopparti l’ultima opera dello straordinario artista appena scomparso. La tragedia è che in mezzo a tanta confusione e affastellamento di FUFFA INUTILE si trovano anche alcuni grandi nomi come Mimmo Paladino o Vanessa Beecroft ma nel bailame generale tutto sembra ugualmente brutto. Mi è tornata in mente la citazione dantesca “Non ti curar di lor ma guarda e passa”.

La Repubblica Popolare Cinese presenta delle installazioni delicatissime basate sull’acqua e sui profumi. Cinque artisti prendono come soggetto il sapore e l’odore del tè, del liquore, del fiore di loto, delle erbe medicinali, dell’incenso. Stupendo.

Infine cosa resta ancora?

“Stilleben” la curiosa scultura di Katharina Fritsch
, una raccolta di soggetti religiosi in colori fluo.

“Elastic Tango” di Sturtevant un’installazione a nove monitor con immagini-blitz tratte dalla televisione. Se fosse sempre vivo Nam June Paik lo avrebbe schiaffeggiato con uno di quegli anelli di metallo che si mettevano i rapper negli anni ’90.

E anche per quest’anno la Biennale è finita.

IN CITTA’
Se avete tempo per vedere qualcosa anche fuori dalla Biennale tra le numerosissime proposte (esiste qualcuno che riesce a vederle tutte o almeno una parte?) vi consiglio l’installazione di Anish Kapoor “Ascension” all’isola San Giorgio Maggiore. Perchè con Kapoor si va sempre sul sicuro, fidatevi.

PER INFORMAZIONI
http://www.labiennale.org