«Chissà quale destino ti attende, e se saprò essere un bravo padre capace di rispettare totalmente la tua libertà». La storia di Andrea Visconti inizia dalla fine. Cioè da quella lettera indirizzata a sua figlia Diletta, appena nata e già in buona compagnia. Insieme a lei ci sono infatti due fratellini, una mamma e un papà. Lo stesso padre che solo poche ore fa ha pubblicato una video-fiaba per questa sua nuova figlia, attesa e adorata. Lo stesso padre che non molto tempo prima che Diletta nascesse, di fiaba ne scrisse un’altra. Era destinata ai sui figli che allora avevano poco più di due anni. Voleva spiegare loro che nonostante il fallimento dell’azienda di papà, papà non era un fallito.
Andrea di anni ne ha trenta. È stato professionalmente precoce. E in un mondo che ritiene quell’età ancora acerba per metter su famiglia, fare figli e rendersi economicamente autonomi, be’, quella precocità si è estesa a ogni ambito. Ma forse non è lui l’eccezione. Andrea ha saputo creare, inventare, innovare. Si è preso in mano la vita e le ha dato forma, anche quando ha iniziato a sgretolarsi. Anche quando i suoi sogni, condivisi con altri compagni di viaggio, si sono dissolti a poco a poco. «La mia famiglia è uno dei principali motivi motori» ci racconta. «Qualcuno mi chiede se avere tre figli a trent’anni sia un limite, ma per me è assolutamente il contrario. Se non avessi avuto loro, per me sarebbe stata davvero durissima. Non avrei avuto motivi per andare avanti».
Eppure i figli sono stati per lui un’opportunità. «Abbiamo scoperto che sarebbe nata Diletta nel periodo in cui è successo tutto…». Quel “tutto” significa la chiusura di una start-up (Sinba) nata soprattutto per sviluppare una app con cui fare acquisti nei negozi senza essere costretti a far code alla cassa. Un'idea premiata anche dal talent di Italia 1 dedicato alle start-up ("Shark Tank"), grazie al quale Sinba ottenne il primo finanziamento. «Quando mi sono reso conto che non ce l’avremmo fatta, non sono stato io a dire “ok, questa strada non è quella giusta”. È stata la realtà che mi ha sbattuto in faccia la verità» ricorda Andrea. «Dovevo ristrutturare il tetto di casa e al momento di pagare la terza rata non avevo più soldi».
Le rate da pagare, due figli, un’azienda che non va. Non rialzarsi più dopo un fallimento è un rischio concreto, diffuso, reale. Eppure, col giusto piglio, anche una caduta può trasformarsi in opportunità, anche una sconfitta può generare valore. E Andrea lo sa bene. È anche per questo che giovedì 14 giugno, nello spazio eventi di Impact Hub (via Panciatichi 6, ore 19.30-21.30), racconterà la sua storia in occasione di "Fuckup Nights Firenze”. Sarà uno dei tre speaker insieme ad Annalisa Marras (35 anni, titolare dell’erboristeria “Le Erbe di Ann”) e Marco Rossi (37 anni, co-Fondatore di Podere di Pomaio).
Andrea, cosa sarebbe accaduto se avessi potuto pagare quella rata?
«Se avessi avuto una garanzia economica, probabilmente sarei sempre lì a provarci».
Un “paracadute” può farci incartare sulla strada che porta al raggiungimento dei propri sogni?
«È probabile che accada. Tendiamo a costruirci in testa dei film, ci facciamo delle proiezioni in base alle nostre aspettative. Tendiamo a pensare che se le cose non vanno per come ce le siamo immaginate, allora non possiamo essere felici».
E invece?
«La realtà ha dimostrato di essere più creativa di me. Quando mi sono arreso, da quel momento sono accadute cose ancora più belle e positive».
Qual è stata la più grande difficoltà?
«Realizzare che il mio desiderio di fare l'imprenditore potesse risolvere tutti i problemi. Per me fare l’imprenditore significa anche offrire opportunità alle famiglie che lavorano per la mia società. Quindi mi domandavo: com’è possibile che non vada?».
Cos’è successo a quelli che lavoravano con te?
«Alcuni sono sempre lì. Altri, nel momento della difficoltà, se ne sono andati. Ma come s’intuisce anche dall’ultimo disegno della fiaba, anche chi si è allontanato resta aggrappato a quel briciolo di speranza rivolgendo lo sguardo verso il “capitano”. Come a dire che non tutto è perduto».
Parliamo della video-fiaba. È diventata virale, ne hanno parlato e scritto tutti i media main stream. È stato quello il momento della rinascita?
«È stata la conseguenza, non il cambiamento in sé. È come se si fosse trattato di un premio per aver accettato che la strada che avevo in mente non era quella che la vita mi poneva di fronte».
Quindi quando è avvenuta la svolta?
«Quando ho ricominciato a guardarmi con stima. Mi sono reso conto che era fallita l’azienda, ma non ero fallito io. Da lì è rinato tutto. Tant’è che prima della fiaba avevo trovato un altro lavoro, ma l’ho perso dopo tre mesi. Un’altra ricaduta dura, perché ero appena ripartito».
I fallimenti a quel punto erano due. Come reagire?
«Ti sembra di non esser capace di far più niente. Il giorno dopo in cui in azienda mi hanno detto che non mi potevano tenere dovevo andare a Milano per appuntamenti già fissati. E io ci sono andato ugualmente, sapendo che non avrei più lavorato per loro. Ecco, se quella attina fossi rimasto a casa a dormire, quell’esperienza l’avrei pagata di più».
E ora?
«Lavoro in un’azienda che non ho fondato, BuyBoom. Sono entrato proprio grazie alla fiaba. Cercavano una figura che si occupasse della comunicazione, ma in poco tempo sono diventato direttore generale. L’attività è simile a quella di Sinba…».
Allora esiste ancora la possibilità che la tua app sbarchi sul mercato?
«Grazie alla fiaba la mia storia è arrivata anche in Asia e in Argentina, dove mi hanno chiesto di provare a vendere la app. La dimensione di BuyBoom non è molto diversa da quella della mia start-up. Quindi non è escluso che possano esserci sviluppi anche in questa direzione».
Per ascoltare (e imparare) da queste storie, è possibile partecipare gratuitamente a “Fuckup Nights Firenze”. Per farlo, però, è necessario iscrizione facendo click qua: www.f6s.com/fuckupnightsfirenzevol11.