Da poche settimane è in libreria pubblicata da Feltrinelli la nuova traduzione dell’Ulisse di James Joyce, a firmarla il poeta, pittore e traduttore fiorentino Alessandro Ceni.
Ceni ha tradotto fra gli altri Milton, Poe, Durrell, Keats, Byron, Emerson, Stevenson, Carroll, Wharton. Per “I Classici” Feltrinelli ha tradotto e curato La ballata del vecchio marinaio − Kubla Khan di Samuel Taylor Coleridge, Il critico come artista. L’anima dell’uomo sotto il socialismo di Oscar Wilde, Lord Jim di Joseph Conrad, Moby Dick, Billy Budd di Herman Melville, Foglie d’erba di Walt Whitman e Il Circolo Pickwick di Charles Dickens.
Ha trascorso gli ultimi anni impegnato nella traduzione di una delle opere più importanti del Novecento l’Ulisse di James Joyce che è stato uno degli scrittori più innovativi sul piano della sperimentazione linguistica. La traduzione di un testo come questo è un’impresa mastodontica.
Alessandro Ceni ci racconta com’è andata nella nostra intervista.
Il lavoro del traduttore è un lavoro spesso invisibile, invece è fondamentale soprattutto nel caso di autori che hanno fatto un uso spericolato della lingua come James Joyce, è così?
Il mio lavoro è fare da tramite, tradurre cioè portare da una lingua all’altra non solo il testo, ma lo spirito dello scrittore che si sta traducendo. Ovviamente sto parlando di traduzioni di letteratura, non di saggistica o scienza. Un tempo il nostro lavoro era molto trascurato, non si metteva neanche il nome del traduttore nel frontespizio, in quarta di copertina, andava dietro o nel colophon. L’Italia poi arriva sempre in ritardo rispetto agli altri paesi, invece in Germania, in Francia, in Inghilterra il nome del traduttore andava spesso poco sotto, insieme a quello dell’autore. Adesso ci siamo anche noi, anche se dipende dalle case editrici, c’è chi ci tiene di più, chi meno. Nel mio caso sono quasi sempre anche curatore del libro, quindi è inevitabile che un po’ di risalto venga dato. Per quanto riguarda l’aspetto economico poi è tutto un altro paio di maniche (ride).
Cerco di immaginarmi cosa deve essere trovarsi ad affrontare la traduzione dell’Ulisse di Joyce, mi sembra un lavoro mastodontico. In quanto tempo è riuscito a tradurlo e com’è stato impegnarsi in questa avventura?
Mi riesce sempre difficile calcolare il tempo anche perchè c’è una parte preparatoria dentro di te, come pensiero, per convincerti a farlo. Anche se devo dire che a suo tempo fui io a proporre alla casa editrice l’Ulisse, ancora prima che Joyce uscisse dai diritti, 70 anni dopo la morte. Materialmente, con pause, ci ho messo almeno 5-6 anni. Ma ho interrotto spesso il lavoro, perchè un lavoro così non lo puoi fare in maniera continuativa.
Credo che possa essere dannoso per la salute
Brava, ma è un discorso relativo perchè spesso anche se non stai seduto dalla mattina alla sera al tavolo di lavoro per mesi, anche quando stacchi, dentro di te continui a pensare a una parola, a una frase. Quindi in realtà non si molla mai, perchè sono testi molto complessi.
Affrontare l’Ulisse di Joyce da traduttore (immagino che lo avesse già letto prima) le ha regalato qualche sorpresa, le ha fatto scoprire qualcosa?
Come poeta sicuramente sì perchè è un testo fondamentalmente sulla lingua, quindi fino a prova contraria i poeti lavorano di, su, con e per la lingua. L’Ulisse di Joyce è un enorme “pastiche” di una chiarezza però impressionante, solo apparentemente caotico, ma non lo è affatto. Mescola dialetti, lingue, vita e morte e tutto questo non può che affascinare e turbare uno che bene o male con le parole ci lavora cioè un poeta. Come uomo idem, io di certo non consiglierei di leggerlo a tutti, è difficile. In realtà la cosa è semplice: uno comincia a leggerlo e vediamo se si fa catturare, se non si fa catturare lo chiude e buonanotte, non è obbligatorio!
Ho sempre avuto l’impressione che Joyce sia un po’ come Proust, se ti piace lo leggi tutto, altrimenti lo chiudi subito e non vai avanti
Il paragone è giusto, pur essendo due scrittori completamente diversi. Se ti affascina vai avanti anche se nel caso di Joyce rischi di non capirci niente. Però alla fine ti accorgi che tutto torna, il filo c’era eccome.
Lei ha tradotto tantissimi autori, qual è il suo preferito? Ce n’è uno che porta nel cuore, magari che rilegge spesso?
Non è facile come scelta, però direi perchè mi sembra di una valore straordinario e universale come narratore di storie Stevenson. È leggibile da chiunque non ha particolari difficoltà ed è veramente un grande narratore, sa portarti dentro le storie, catturarti. Certo il paragone con Joyce è impossibile, perchè Joyce non è un narratore, è più vicino a un poeta, procede per immagini anche violente, contrastanti.
L’Ulisse di Joyce
Dublino, 16 giugno 1904, uno dei giorni più importanti sul calendario della letteratura mondiale. È la data scelta da James Joyce per immortalare in poco meno di ventiquattr’ore la vita di Leopold Bloom, di sua moglie Molly e di Stephen Dedalus, realizzando un’opera destinata a rivoluzionare il romanzo.
È l’odissea quotidiana dell’uomo moderno, protagonista non di peregrinazioni mitiche e straordinarie, ma di una vita normale che però riserva – se osservata da vicino – non minori emozioni, colpi di scena, imprevisti e avventure del decennale viaggio dell’eroe omerico.
“Leggere l’Ulisse,” scrive Alessandro Ceni nella sua nota introduttiva, “è come guardare da troppo vicino la trama di un tessuto” dove le parole, che sono i nodi della trama, rivoluzionano. Trascinata da una scrittura mutevole e mimetica, da un uso delle parole che è esso stesso narrazione, la complessa partitura del romanzo procede con un impeto che scuote e disorienta. Perché “un testo così concepito esige un lettore pronto a traslocarvisi armi e bagagli, ad abitarlo, a starci dentro abbandonando ogni incertezza”. Solo immergendosi senza riserve nella scrittura il lettore potrà riemergerne davvero, alla fine, inondato di tutta la luce che questo romanzo concentra in sé.
Alessandro Ceni presenterà l’Ulisse di Joyce presso la libreria L’ora blu in via dei Mille 27R a Firenze giovedì 18 novembre alle ore 18.