Quando si parla di cinta senese, la maggioranza pensa al gusto piacevole di quella carne Toscana che porta con sé il marchio di denominazione d’origine protetta. Eppure allevare cinta senese è anche un’opportunità di lavoro, soprattutto in questo particolare momento d’incertezza economica.
È in questo contesto che il Consorzio della Cinta Senese si propone di raggiungere un obiettivo ambizioso: raddoppiare – se non addirittura triplicare – la produzione di cinta senese Dop, questo perché l’attuale produzione (circa 4mila capi) non è sufficiente a soddisfare le molte richieste di mercato.
Questo obiettivo rappresenta dunque una nuova opportunità di lavoro, ovviamente con il presupposto che sussistano alcune caratteristiche strutturali di base richieste dal disciplinare (ad esempio collocazione nel territorio toscano, adeguati spazi per allevamento allo stato brado e semi brado). È per questo che il Consorzio si rende disponibile a indicare le condizioni necessarie per avviare un allevamento di questa razza, indicando soprattutto quali sono le problematiche e le criticità che tale tipo di impresa può presentare.
«Sicuramente è indispensabile passione per gli animali e per la vita all’aria aperta» spiega Daniele Baruffaldi, presidente del Consorzio. «Ci mettiamo a completa disposizione di chi volesse informazioni. La necessità d’incrementare la produzione non è legata solo alla forte richiesta esistente, ma rappresenta un fattore indispensabile per stabilizzare il prezzo di mercato. Questo è realizzabile solo in presenza di numeri stabili e non altalenanti (peculiare nelle piccole produzioni). Ciò sarebbe di grande aiuto ai piccolissimi produttori che immettendo sul mercato pochi animali senza programmazione sono di conseguenza soggetti ad essere facile preda da parte di chi gioca al ribasso sul prezzo».
Un altro vantaggio della maggiore produzione, secondo la Baruffaldi, starebbe nel fatto di poter programmare la logistica per la vendita di carne fresca, «che ha ovviamente scadenza a breve e che necessita di trasporti speciali». Carne fresca che risulta essere il punto di forza per la peculiare qualità che la caratterizza e il vero soggetto della Dop. Esistono dunque condizioni di mercato e necessità oggettive per puntare a incrementare la produzione di questo animale, uno dei principali ambasciatori della toscanità nel mondo ed elemento di eccellenza dell’agroalimentare italiano.
Ma chi si appresta ad avviare un allevamento di cinta senese ha sicuramente bisogno di essere accompagnato da poche, ma importanti informazioni. Ciò per non illudere e indurre in eventuali errori i nuovi allevatori e di conseguenza costringerli a chiudere dopo una breve esperienza. «Fa più danno un allevatore che chiude, rispetto a dieci che non aprono» sottolinea la presidente del Consorzio. «Quindi chi pensa che allevare la cinta senese possa essere una buona opportunità si rivolga pure al Consorzio di Tutela. Saremmo disponibilissimi a dare tutte le informazioni e il sostegno possibile».
Per avere la denominazione di origine protetta cinta senese, l’allevamento deve rispettare precise regole su provenienza (animali nati, allevati e macellati in Toscana fino ad un’altitudine di 1200 metri), razza (nati dall’accoppiamento di soggetti iscritti entrambi al registro della cinta senese), allevamento (allo stato brado), alimentazione (pascoli in bosco o terreni con piante foraggere), macellazione (animali con età superiore ai 12 mesi con peso medio di 140 Kg), caratteristiche della carne e tracciabilità.
Quella della cinta senese, del resto, è una storia antica. Si tratta di una razza probabilmente già allevata al tempo degli Etruschi e dei Romani. Le prime attestazioni sicure della sua presenza risalgono al tardo Medioevo. Fino agli anni Cinquanta la maggior parte delle famiglie contadine toscane allevava questo suino. Negli anni Trenta, l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Siena aveva attuato un’azione di miglioramento genetico e predisposto l’apertura di un Libro genealogico. Il registro venne poi chiuso negli anni Sessanta a causa della forte contrazione demografica. Poiché è una razza poco prolifica, rischiò l’estinzione dopo l’introduzione delle razze straniere negli anni Sessanta-Settanta e fu salvata quando ormai erano presenti solo poco più di 50 esemplari. In Italia, nel 1927 esistevano, 21 razze suine, che si sono quasi tutte estinte con l’arrivo delle più produttive razze danesi e inglesi, con conseguente perdita di un enorme patrimonio genetico. Solo sei le razze rimaste: oltre alla Cinta Senese, la Siciliana, la Mora Romagnola, la Casertana, la Sarda e la Nera Calabrese. Però soltanto per la prima è stata intrapresa una strada di pieno recupero e diffusione. Negli anni Novanta, sulla scia di un generale approccio al consumo più naturale e della riscoperta dei sapori di una volta, in Toscana si è ricominciato ad allevare la cinta senese in purezza, rispettando i suoi tempi di evoluzione (massimo 6/8 cuccioli a covata) e garantendole le condizioni di allevamento allo stato brado o semibrado che ben si adattano a questo maiale molto rustico.